Binge watching: di cosa si tratta e i soggetti coinvolti

Le nuove dipendenze digitali, così globalizzanti, invasive, inutili ed escludenti, impoveriscono di significato la vita di giovani e adulti

Foto di Glenn Carstens-Peters su Unsplash

Il “Binge watching” è un’“abbuffata di visione”, fenomeno ormai mondiale, che si è incrementato molto negli ultimi anni (complice anche il lockdown), grazie all’ampia offerta di serie tv, da parte delle piattaforme televisive a pagamento (sempre più diffuse tra i consumatori), con l’obiettivo di seguire più puntate ininterrottamente. Si tratta di una vera maratona televisiva (o marathon viewing), di un’indigestione.

Negli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso, si assisteva a episodiche maratone di 3 o 4 film per celebrare (anche a livello cronologico) saghe cinematografiche che hanno segnato la storia (a esempio “Guerre stellari”). In questo nuovo secolo, dominato dal servizio di tv on-demand, le maratone sono diventate molto frequenti e più intense, potendo disporre di tutte le puntate realizzate. Parecchi fruitori, giovani e adulti, sono attratti particolarmente dalle “serie tv” e, in una sorta di “impossibilità a smettere”, seguono un episodio dopo l’altro.

Le motivazioni di questa “overdose” sono due: uno è il coinvolgimento nella storia, il piacere di emozionarsi e il desiderio di conoscere gli sviluppi; l’altro è una sorta di nuova challenge, denominata “binge racing” (una gara di abbuffata), in cui, nell’ennesimo impeto competitivo contemporaneo, si deve gareggiare (e vincere) nel vedere, nel più breve tempo possibile, tutti gli episodi della serie, uno dopo l’altro, costi quel che costi. Le piattaforme stesse, nell’offrire nuovi contenuti, stilano anche le classifiche di ciò che è più seguito e che ha conosciuto le forme più estreme di binge racing.

Alcuni sostengono che tali maratone siano utili per non perdere il filo del discorso e non spezzettare eccessivamente delle storie piuttosto lunghe, mantenendo l’orientamento concettuale ed emotivo. Altri, al contrario, al di là della compromissione degli aspetti morali, sociali e fisici, ritengono che velocizzare i contenuti e riempire forzatamente la mente, non aiuti a una corretta elaborazione. Nonostante alcuni deboli tentativi di giustificare tali abbuffate, si tratta di una dipendenza che rende gli individui sempre più inebetiti, sedentari e asociali.

Nel Messaggio del Santo Padre Giovanni Paolo II per la XXVIII Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, del 24 gennaio 1994, il Papa polacco ricordò “Formare le abitudini dei figli, a volte può semplicemente voler dire spegnere il televisore perché ci sono cose migliori da fare, o perché la considerazione verso altri membri della famiglia lo richiede o perché la visione indiscriminata della televisione può essere dannosa. I genitori che si servono abitualmente e a lungo della televisione come di una specie di bambinaia elettronica, abdicano al loro ruolo di primari educatori dei propri figli. Tale dipendenza dalla televisione può privare i membri della famiglia dell’opportunità di interagire l’uno con l’altro attraverso la conversazione, le attività e la preghiera comuni. I genitori saggi sono inoltre consapevoli del fatto che anche i buoni programmi debbono essere integrati da altre fonti di informazione, intrattenimento, educazione e cultura. […] Tutta la verità ha il suo fondamento in Dio, che è anche la fonte della nostra libertà e della nostra capacità creativa”.

Stefania Garassini, giornalista e professoressa universitaria, è l’autrice del volume “Lo schermo dei desideri” (sottotitolo “Come le serie tv cambiano la nostra vita”), pubblicato da “Ares” nel gennaio 2023. L’estratto recita “Le serie tv occupano sempre di più il nostro immaginario (e il nostro tempo). E ciò che ci propongono non è soltanto intrattenimento. Attraverso le storie che guardiamo passa una visione del mondo, un’idea di bene e di male, una gerarchia di valori, quindi un’etica, che inevitabilmente ha un impatto sul nostro comportamento, su pensieri, giudizi e decisioni. In qualsiasi ambiente educativo, che si tratti della propria famiglia o della scuola, è sempre più urgente capire quale sia lo sguardo sulla vita, le persone e le relazioni veicolato dalle serie e conoscere la logica che le orienta. Solo così saremo attrezzati per compiere scelte adeguate alle nostre vere esigenze personali e familiari”.

Nel giugno scorso, Engage.it (sito specializzato in marketing, pubblicità e media business) ha commentato, al link https://www.engage.it/dati-e-ricerche/tv-tradizionale-e-streaming-il-comportamento-degli-italiani-secondo-la-ricerca-sensemakers.aspx, i dati della ricerca eseguita da Sensemakers srl (società di servizi di consulenza sull’analisi dei media). Si legge “Nel mese di marzo 2023 infatti, i contatti mensili della tv tradizionale hanno raggiunto i 53 milioni di individui. Quindi quasi il 90% degli italiani consuma almeno un minuto di tv. Paiono quindi ingiustificate le preoccupazioni circa la ‘crisi degli ascolti’, anche se, dopo l’iper-consumo degli anni pandemici, la tendenza graduale all’erosione del pubblico è ripartita. Più che di erosione la ricerca parla di polarizzazione del consumo di video: un fenomeno che riguarda tanto la tv lineare quanto le piattaforme. Per la tv, il consumo medio calcolato sull’intera popolazione nazionale, raggiunge una media di tre ore e mezzo al giorno. Nella ricerca, la popolazione è divisa in tre grandi categorie: ci sono, da un lato, i ‘forti consumatori’ (circa 16 milioni di persone) e, dall’altro lato, i ‘deboli consumatori’ (circa 15 milioni di persone). Nel mezzo una ventina di milioni di ‘consumatori moderati’. I forti consumatori guardano la tv tutti i giorni, e lo fanno per tempi molto lunghi, che superano le sette ore al giorno. Si tratta di un consumo concentrato: in pratica, il 30% della popolazione è responsabile del 66% del consumo totale televisivo”.

La dipendenza sconvolge i normali tempi quotidiani e anche il ritmo circadiano, con pesanti ripercussioni sul rapporto sonno/veglia, sul corretto funzionamento cerebrale e dell’“orologio interno” della persona. La tendenza è anche quella di isolarsi e di vivere tali lunghe esperienze spesso in solitario o, al massimo, in compagnia di un familiare. Esperienze attive, di vita propria e relazione sociale, all’aria aperta, sono sostituite da stimoli puramente passivi, che intrudono nella testa, senza confronto e spirito dialettico. Gli allarmi si sono concentrati anche per un inevitabile rallentamento motorio, dovuto a lunghi periodi trascorsi fra divano e letto.

A onor del vero, la fruizione non è solo televisiva né completamente statica: in parte è possibile anche “in mobilità”, attraverso l’utilizzo di un telefono cellulare o di altri dispositivi. La socialità residua è quella che si concentra fra appassionati del genere e della serie tv specifica, in cui raccontare sensazioni, dubbi e vantare il livello raggiunto. Un livello di certo non riferito a obiettivi di crescita umana, morale, culturale. L’appiattimento mentale è evidente.

La moda attuale impone di seguire almeno una serie tv e di renderlo noto sui social. Si è al limite del “dimmi quale serie tv segui e ti dirò chi sei”. Per chi è alla ricerca della propria personalità, il web offre anche la possibilità di test per serie tv, in cui classificarsi e identificarsi, necessariamente, in un personaggio (in realtà, svuotando, di fatto, il proprio “io”).

Alcuni clienti spiegano il loro comportamento poiché colgono, nella lunga visione, un modo per distrarsi da problematiche di negatività, assenza di piacere, umore depresso e solitudine. Il beneficio che, eventualmente, si dovesse ottenere è, comunque, di breve durata e si traduce solo in una conferma delle proprie difficoltà. Le condizioni così esagerate vanno oltre il normale discernimento umano e non provocano quella distrazione o passatempo che può offrire una visione adeguata. Tutto e subito; il principio che muove il globo contemporaneo si avverte nel consumo materiale e anche di servizi. Perché attendere quando si può ottenere subito qualcosa? Il fascino ormai “antico” dell’attesa, del saper attendere il momento giusto, è sorpassato dall’ingordigia di usufruire.

Vedere l’abbuffata come occasione di legame, comunicazione e punto d’incontro fra giovani, appare un po’ limitativo e infondato. Anche considerare l’opportunità di capire meglio il prossimo, attraverso la sua scelta per una specifica serie, sembra surreale. Per alcuni giovani, non essere al tempo e al passo con le serie e le puntate, costituisce un rischio di esclusione e ostracismo sociale, poiché nel gruppo dei pari, in classe o sui social, tutti (o quasi) sono documentati a dovere. L’esclusione sociale, tuttavia, avviene per davvero per coloro che non possono sostenere le spese di un abbonamento alle piattaforme televisive e i costi connessi ai relativi supporti.

Si tratta, quindi, di una socialità già parzialmente ristretta per natura, in cui la sensazione di non farne parte, non essere accetti e degni del gruppo è palese; si è fuori doppiamente: dalla possibilità di usufruire del divertimento e si è esclusi dalle conversazioni sugli episodi. Per i giovanissimi meno abbienti, questa è l’emarginazione più lacerante.