Fuori dall’inferno della psicosetta. Lucrezia liberata dall’esorcista

L'esorcista don Aldo Buonaiuto racconta nel libro d'inchiesta "Gli artigiani del diavolo" come una psicosetta ha schiavizzato una 23enne

Quando arriva la segnalazione al Telefono Antisette, gli
operatori cercano di promuovere un incontro conoscitivo
con la persona che segnala un problema. “Guardare in faccia
chi chiama è fondamentale– spiega l’esorcista don Aldo Buonaiuto, autore del libro d’inchiesta “Gli artigiani del diavolo” (Rubbettino), impegnato in prima linea nel Telefono Antisette fin dalla fondazione-. Tre le modalità d’intervento. Se il problema segnalato è di natura spirituale, la persona  turbata interiormente è indirizzata verso un esorcista autorizzato con un mandato dal proprio vescovo (ce n’è uno in ogni diocesi)”. È in vigore un protocollo d’intesa con l’Aie, l’Associazione internazionale degli esorcisti fondata nel 1990 da padre Gabriele Amorth. “Se invece il problema è psichico
chi chiama il numero verde  800228866 è messo in contatto con i medici- prosegue il sacerdote di frontiera della Comunità Papa Giovanni XXIII-. Infine, se dalla chiamata emergono problemi sociali, con probabili reati, l’accompagnamento è verso le forze dell’ordine. Ognuno di questi tre percorsi ha difficoltà specifiche.
Si tratta di persone molto spaventate, terrorizzate. Spesso
hanno avuto esperienze negative in precedenti tentativi di
segnalare gli abusi sofferti. Molte volte non sono stati creduti
e capiti da varie istituzioni. Mancano una formazione specifica e un coordinamento tra i diversi operatori”.

Psicosetta

“Le segnalazioni in maggiore crescita al  riguardano le psicosette,
cioè quelle realtà che fanno ricorso a tecniche di manipolazione mentale e adescamento con la promessa di risolvere ogni problema della vita“, sottolinea don Buonaiuto. Emblematico il caso di Lucrezia. 23 anni, un rapporto conflittuale con la sua famiglia. Nella cittadina in cui vive si sente soffocare. Circondata dall’opulento benessere del NordEst italiano, avverte dentro di sé, fin dall’ adolescenza, un senso di inquietudine. I genitori sono separati, ed entrambi, forse perché si sentono in colpa, la ricolmano di regali costosi. Attraverso una compagna d’università, Lucrezia entra in
contatto con un gruppo di meditazione pseudoorientale che ogni settimana riunisce una ventina di persone in un centro culturale nel capoluogo della provincia veneta, nella quale la famiglia d’origine di Lucrezia è ben conosciuta e rispettata. L’impatto con la nuova realtà è rassicurante: tutti sono gentili con lei, in particolare la maestra di respirazione diaframmatica.

Reclutamento

È un’insegnante di educazione fisica prossima alla pensione e racconta spesso a Lucrezia dei suoi viaggi in India, le descrive con toni epici le meditazioni e gli esercizi spirituali compiuti con maestri di comprovata esperienza. Lucrezia l’ascolta affascinata e inizia a seguire i suoi consigli su come nutrirsi, vestirsi, rapportarsi alla sua famiglia e ai problemi ai quali non riesce a trovare una soluzione. Pian piano, incontro dopo incontro, la fiducia verso la sua
maestra di meditazione diventa un’insana dipendenza. La ragazza non riesce più a prendere nemmeno una semplice decisione senza aver prima consultato la sua guru. Smette progressivamente di frequentare l’università, che fino a quel momento era stata la sua principale occupazione. Anche i contatti con i suoi familiari subiscono un radicale raffreddamento. Decide di lasciare casa di sua madre e di andare ad abitare con una sua compagna del corso di meditazione, per poter stare più vicina alla sede in cui si tengono gli incontri del gruppo. Solo la vicinanza alla sua maestra sembra placare il crescente sentimento di inadeguatezza di Lucrezia. Il padre e la madre si rendono conto che la figlia si sta  inesorabilmente separando dalla famiglia e dal mondo e per due volte cercano invano di convincerla a tornare a casa, ma, in entrambi i casi, la risposta è a suon di urla e attacchi di panico.
Passano settimane, poi mesi, e la ragazza si riduce a non voler muovere più un passo senza il consenso della sua guru.La famiglia s’accorge del dramma solo quando una cugina incontra Lucrezia a un angolo della strada. Lucrezia, con i capelli rasati e una tunica lunga fino ai piedi, è diventata una schiava di un’organizzazione internazionale che impone turni di questue e continue mortificazioni ai propri adepti. La patologica dipendenza psicologica dalla santona s’è tramutata in appartenenza a una setta orientale che prevede la totale cessione al gruppo della propria volontà individuale. La vita di Lucrezia è completamente cambiata e nel giro di pochi mesi si ritrova a doversi svegliare ogni mattina alle 5 per accudire gli animali della comune, nella quale occupa il gradino gerarchico più basso. La sua maestra di meditazione l’ha introdotta e iniziata in un mondo settario fatto di lavoro nei campi e lunghe ore di rumorose meditazioni scandite dal suono assordante di tamburi e campanelli.

Schiavitù

Ogni sera, per assicurarsi la sua incondizionata accondiscendenza, alla ragazza vengono somministrate pillole e gocce: sono psicofarmaci per annientare la sua capacità critica e per non farle avvertire la condizione di sottomissione che le è stata imposta. Dopo un anno, Lucrezia, in un raro momento di lucidità, tenta la fuga dalla comune, ma viene riacciuffata da uno dei guardiani del gruppo e confinata in una stanza adibita all’isolamento al termine del quale tenta il suicidio. Riescono a toglierle il lenzuolo un solo istante prima del soffocamento. La vicinanza alla morte è uno shock che la riporta in vita. Tenta di nuovo la fuga e stavolta le riesce. Dimagrita e quasi irriconoscibile arriva di corsa da sua madre. Da lì inizia a ricostruire un’esistenza lontana dalla setta, che più volte cerca di recuperare l’adepta sfuggita al controllo. Lucrezia cambia identità e città e oggi, attraverso un lungo processo di recupero dell’autostima e del senso di sé, racconta il suo calvario con il distacco doloroso di chi non si riconosce nel buio del proprio passato.