Ferrittu (progetto “fra noi”): “Bisogna creare più comunità attorno ai migranti”

L'intervista di Interris.it alla dott.ssa Tiziana Ferrittu, project manager del progetto di accoglienza migranti "fra noi"

La locandina del progetto "fra noi" (© www.franoi.org)

Una grave conseguenza delle guerre e delle crisi economiche ad esse conseguenti, come ad esempio quella che sta lambendo l’Ucraina in questo difficile periodo storico, è rappresentata dalle migrazioni di chi è costretto a lasciare la propria casa per fuggire alla violenza.

La protezione e l’inclusione dei migranti

In Italia, in particolare, il diritto di asilo è garantito dall’art.10 comma 3 della Costituzione che recita: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Oltre a ciò, riveste una grande importanza, l’inclusione dei migranti nel momento in cui gli stessi escono dal sistema di protezione internazionale ed entrano a far parte delle comunità sui territori; qui entra in azione il progetto Fami “fra noi”, in sinergia con le Caritas diocesane.

Il progetto “fra noi”

Il progetto “fra noi” si pone l’obiettivo di coinvolgere 450 migranti titolari di protezione internazionale che abbiano portato a termine, da non oltre 18 mesi, percorsi di accoglienza presso progetti SPRAR, CAS ed altri circuiti di accoglienza, quali, in particolare, i Corridoi Umanitari. Si tratta di un sistema di “accompagnamento all’autonomia” che nasce dalla consapevolezza delle debolezze del sistema nazionale di accoglienza e integrazione Sai che non riesce a realizzare una reale integrazione nel territorio: ad esempio, solo il 20% dei migranti accolti nel sistema Sai riesce poi a ottenere un contratto di lavoro, e più della metà non riesce ad avere un contratto di affitto. Gli interventi effettuati si basano su alcuni pilastri: inserimento lavorativo in aziende, accoglienze in famiglia, autonomia abitativa in situazioni di affitto, housing sociale o cohousing e inserimento sociale nelle comunità locali. Tale progetto è stato raccontato al pubblico lo scorso 11 e 12 maggio presso la Caritas diocesana di Matera nell’ambito del Festival delle culture mediterranee Sabir. Interris.it ha intervistato, in merito azioni di inclusione e accoglienza messe in campo dal progetto “fra noi”, la dott.ssa Tiziana Ferrittu, project manager dello stesso.

© “fra noi”

L’intervista

Come nasce e che obiettivi si pone il progetto “fra noi”?

“Il progetto “fra noi” nasce dalla possibilità che si apre sul fondo Fami, ossia un fondo per la migrazione, l’integrazione e l’accoglienza dei migranti. È un fondo europeo che viene utilizzato attraverso il Ministero dell’Interno, il quale fa dei bandi di concorso per le organizzazioni che hanno esperienza in merito e da tempo si occupano di accoglienza e inclusione. Noi abbiamo partecipato ad una prima edizione con il consorzio “Farsi Prossimo” di Milano nel 2017/2018. In seguito, abbiamo ripresentato il progetto, dando allo stesso una dimensione ancor più nazionale con il consorzio “Communitas”, il quale è collegato alle Caritas dei territori che si occupano di accoglienza e integrazione. Gli obiettivi principali sono il supportare e sostenere i titolari di protezione internazionale, i rifugiati e coloro che hanno una protezione sussidiaria nella fase successiva all’accoglienza, quando escono dal sistema di accoglienza e necessitano ancora di un supporto per avere poi un’inclusione stabile. Li accompagniamo quindi in questa fase successiva”.

In che modo il progetto “fra noi” intende coinvolgere le comunità locali nei processi di inclusione e accoglienza dei migranti?

“In questa seconda edizione del progetto, il tema della rigenerazione della comunità e anche fare il modo che la stessa potesse essere un supporto ancora più decisivo per i migranti, è stato l’elemento fondamentale. In particolare, perché abbiamo passato e stiamo passando il problema grosso dell’emergenza sanitaria e quindi, tutti noi forse, abbiamo riscoperto l’importanza di avere una rete di supporto e di sostegno quando tutti ci siamo ritrovati soli e si è sperimentato ciò che, per un migrante, significa arrivare in un paese che non conosce, dove non ha reti familiari e sociali. Includersi in una situazione nella quale non si hanno contatti e conoscenze è molto difficile. Non bastano il lavoro e la casa, ci vogliono le relazioni sociali. C’è un’azione specifica per fare ciò, quella dell’accoglienza in famiglia, la quale prevede che, le persone uscite dai centri di accoglienza, ancora prive di autonomia per provvedere a se stessi, possano essere accolti presso delle famiglie o delle persone che si mettono a disposizione per un periodo di sei mesi, al fine di accoglierle nelle loro case e supportarle nel loro percorso di inclusione. Questa è un’azione molto specifica e comunitaria però, in realtà, ci sono altre strategie, ad esempio delle persone fanno da tutor accompagnando chi ha bisogno pur non vivendo sotto lo stesso tetto. Sostanzialmente l’idea è quella di supportare i migranti affinché si mettano in relazione in autonomia con il territorio, avendo da noi delle indicazioni. Ciò avviene in termini di attivazione della comunità e delle relazioni ma, la stessa, è anche l’insieme dei servizi pubblici e il sistema di welfare. Il grande tema su cui lavora il progetto “fra noi” è l’inclusione delle persone nel sistema dei servizi, perché ciò non è così scontato. I migranti arrivano e entrano in un sistema di accoglienza che è stato pensato ed è consolidato da 20 anni, il quale accoglie gli stessi con competenza e attenzione, ma anche con tante fatiche. Però, è un sistema a parte, un po’ speciale, che poi non aiuta i migranti nel momento in cui cominciano a vivere una vita normale. L’obiettivo, pertanto, è anche fare il modo che gli stessi possano diventare a pieno titolo cittadini, usufruendo di tutti i servizi di cui anche gli altri usufruiscono. Questo è il modo in cui lo facciamo, con tante piccole strategie, in particolare attraverso il lavoro di tantissimi operatori e volontari che operano per supportare questo progetto, ma soprattutto perché sono già attivi all’interno di quelli che sono i percorsi delle organizzazioni collegate all’opera delle Caritas diocesane”.

 

Quali sono i vostri auspici per il futuro in materia di inclusione dei migranti e delle persone con fragilità? In che modo chi lo desidera può aiutare la vostra azione?

“Si può aiutare mettendosi a disposizione come volontari delle Caritas dove, in qualche modo, si impatta con i nostri servizi. Questo è un tema importante dove ci vogliono anche competenze professionali di un certo tipo e non solo l’azione indispensabile dei volontari. Mettendosi a disposizione un po’ di tempo, magari candidandosi come famiglie e persone accoglienti o tutor presso le Caritas, magari contattandoci per capire dove operiamo. I nostri progetti come “fra noi” e altri, hanno però una scadenza. “Fra noi”, ad esempio, doveva chiudersi il 30 giugno, ma ha avuto una proroga in virtù della situazione mondiale per la quale, l’Unione Europea, ha deciso di posticipare la chiusura del periodo di programmazione di sette anni che doveva terminare nel 2022, ma si continua ancora un po’ per sostenere gli stati; quindi, noi proseguiamo fino al 31 dicembre. L’azione della Caritas continua ed è sempre presente nel modo migliore. Rimane anche il supporto delle donazioni di oggetti o di denaro. Secondo me però, l’aspetto più interessante, non solo nella fase emergenziale dell’accoglienza ma nella fase successiva dell’inclusione, non è tanto il supporto economico, per quanto prezioso, ma quello umano e relazionale. C’è bisogno di creare comunità attorno a queste persone, per le quali si costruiscono cattive opinioni che, in qualche modo, devono essere abbattute dalla conoscenza diretta. Quando li si conosce direttamente, si scopre che non sono persone così lontane, ma hanno bisogni esattamente come noi. Agendo così si abbattono molti stereotipi e pregiudizi. Gli auspici per il futuro si collegano a questo tema, ossia al fatto che, progetti come questo, lascino il segno, sia negli operatori che nei volontari, per i quali abbiamo fatto un grande lavoro di formazione. Desidererei quindi che, nel futuro, ci siano sempre più possibilità di questo tipo per le persone e si creino sempre più comunità attorno ai migranti, da qualunque posto essi vengano. È un grande auspicio, ma dobbiamo desiderare grandi cose per farle attuare”.