Sclerosi multipla, la sfida di ridurre i danni cerebrali

Un nuovo farmaco orale limita la disabilità e i danni della patologia: in Italia oltre 137mila pazienti e 3.600 nuovi casi l'anno

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L’obiettivo della ricerca scientifica è ridurre i danni cerebrali della sclerosi multipla. Questa malattia neurodegenerativa colpisce il sistema nervoso centrale. Ed è complessa e imprevedibile. Per effetto dei trattamenti e dei progressi della ricerca, le persone con sclerosi multipla possono mantenere una buona qualità di vita. Con un’aspettativa non distante da chi non riceve questa diagnosi. La patologia è caratterizzata da una reazione anomala delle difese immunitarie. Che attaccano alcuni componenti del sistema nervoso centrale. Scambiandoli per agenti estranei. Per questo rientra tra le malattie autoimmuni. Suscita attenzione al riguardo un nuovo studio condotto da ricercatori della UC San Francisco. Pubblicato su Jama Neurology. Si è scoperto che elevati livelli nel sangue di NfL, un biomarcatore di danno ai nervi, in pazienti affetti da sclerosi multipla sono un fattore predittivo. Un segnale che anticipa un peggioramento della disabilità a distanza di uno o due anni. danni

Danni da limitare

“La ricerca è la prima a quantificare l’intervallo di tempo che precede l’aggravarsi della disabilità che vede la lesione al sistema nervoso centrale”, spiega Ahmed Abdelhak. Scienziato del Dipartimento di Neurologia dell’UCSF. E del Weill Institute for Neurosciences. Primo autore dello studio. Quasi un milione di americani soffre di sclerosi multipla. Nei casi avanzati, i pazienti possono avere una mobilità limitata. E sperimentare spasticità, debolezza, scarsa coordinazione e incontinenza. Tuttavia, i recenti progressi suggeriscono che i sintomi più gravi possono essere sostanzialmente ritardati o addirittura evitati. “L’aumento dei livelli di NfL può essere rilevato fino a due anni prima di evidenti segni di peggioramento del grado di disabilità. Ciò rappresenta la finestra in cui gli interventi possono prevenire l’aggravarsi della malattia”, sottolinea Abdelhak. La ricerca è stata condotta congiuntamente dall’Ospedale Universitario. E dall‘Università di Basilea in Svizzera. Gli scienziati hanno esaminato l’incidenza del peggioramento della disabilità, fissato a sei mesi o più nell’aumento della menomazione. Che, a sua volta, si riflette in un punteggio più alto sulla Expanded Disability Status Scale. danni

Disabilità

Gli scienziati hanno distinto tra acutizzazione della disabilità con ricaduta. Che comporta sintomi residui o il ritorno di quelli vecchi dopo la ricaduta. E progressione graduale dei sintomi senza ricaduta. I ricercatori hanno analizzato i dati relativi a un periodo di dieci anni, provenienti da circa 4.000 visite di pazienti all’UCSF, per lo studio EPIC. E e da circa 9.000 visite di pazienti in diversi siti in Svizzera, per lo studio SMSC. Insieme, le due analisi hanno incluso quasi 1.900 pazienti. Tra questi, 570 pazienti sono stati identificati con disabilità in continuo peggioramento. Di cui la maggior parte indipendente dalle ricadute. I risultati hanno mostrato che livelli elevati di NfL erano associati a un rischio fino al 91% più elevato per l’aggravarsi della disabilità. Con una ricaduta stimata a circa un anno dopo. E a un rischio fino al 49% più alto del peggioramento della disabilità senza ricaduta quasi due anni dopo. “Pensiamo che l’innalzamento dell’NfL si verifichi prima quando vi è una complicazione della disabilità senza ricadute”, ha sostenuto Abdelhak. danni

Danni alle cellule nervose

“Questo schema diverso potrebbe indicare un processo più prolungato che diminuisce di intensità prima dell’aumento della disabilità”, sottolinea Ari Green. Direttore medico del Centro per la Sclerosi Multipla e la Neuroinfiammazione dell’UCSF. E autore dello studio. “Ciò è in linea con le conoscenze che provano che la morte delle cellule nervose è un processo lento. Che porta alla disabilità permanente– prosegue Green-. Ciò significa che gli interventi per proteggere le cellule nervose potrebbero avere il tempo di fermare la disabilità”. Oltre alle scoperte rivoluzionarie sulla relazione temporale tra l’aumento di NfL e la graduale progressione della malattia nella sclerosi multipla, lo studio centra ottiene un altro risultato. Ossia “dimostra il rilevante ruolo di NfL come marcatore precoce del danno nervoso“, puntualizza Jens Kuhle, che ha guidato lo studio svizzero. E dirige il Centro Sclerosi Multipla dell’Ospedale Universitario e dell’Università di Basilea, in Svizzera. “Il monitoraggio dei livelli di NfL potrebbe essere in grado di rilevare l’attività della malattia. Con una sensibilità maggiore rispetto all’esame clinico o alla diagnostica per immagini convenzionale“, precisa Kuhle.

Situazione in Italia

La sclerosi multipla solo in Italia colpisce oltre 137mila pazienti e fa registrare ogni anno più di 3.600 nuovi casi. Una nuova terapia orale, Ozanimod, come dimostrato dagli studi registrativi, è in grado di prevenire l’atrofia celebrale. Cioè una delle conseguenze più nefaste della patologia. E ha dimostrato un vantaggio del 30% nel ridurre la perdita di volume celebrale rispetto all’interferone Beta 1a. In questo modo è possibile limitare un danno d’organo irreversibile. E contenere la disabilità. E’ quanto emerso in occasione di una conferenza stampa virtuale con la partecipazione di alcuni dei massimi esperti italiani. “La sclerosi multipla è una patologia autoimmune in cui il nostro sistema immunitario attacca la guaina mielinica che ricopre i nervi“, spiega Paola Cavalla. Rsponsabile Centro Sclerosi Multipla, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino . E aggiunge: “In particolare, la forma recidivante-remittente, la più frequente al momento della diagnosi, si distingue per l’alternanza di fasi. Con una durata imprevedibile. Può inoltre associarsi un’infiammazione interna al sistema nervoso centrale. Che è talora associata a deficit cognitivi“.
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Peggioramento

“L’instaurarsi del deterioramento cognitivo è correlato all’atrofia cerebrale che nel paziente con sclerosi multipla risulta accelerata”, sostiene Matilde Inglese. Responsabile Centro Sclerosi Multipla, Irccs Ospedale Policlinico San Martino di Genova. E prosegue: “La perdita di volume del cervello è un fenomeno estremamente pericoloso. E dal quale non si può tornare indietro. E’ perciò indispensabile agire precocemente. Con trattamenti in grado di rallentare questo processo. Così da ottenere vantaggi. Sia in termini clinici che di riduzione della disabilità motoria e cognitiva“. Al nuovo farmaco fa riferimento anche Roberta Lanzillo. Professoressa Associata presso il dipartimento di Neuroscienze dell’Università Federico II di Napoli. “E’ indicato per il trattamento della sclerosi multipla recidivante remittente in fase attiva. Che rappresenta circa l’85% di tutti i casi“, osserva la scienziata. Una analisi preliminare dello studio Enlighten è ancora in corso. Ne emerge che il 47% dei pazienti con malattia recidivante ha ottenuto un miglioramento clinico significativo delle funzioni cognitive. Dopo un anno di trattamento.