Sì del sindaco all’appello dell’arcivescovo Massara per l’ex Jp: “A Fabriano va rilanciato il distretto industriale”

Intervista di Interris.it al sindaco di Fabriano, Gabriele Santarelli sull'allarme-occupazione lanciato da monsignor Francesco Massara per l'ex Jp. "Il territorio ha le risorse e il know how per salvare i posti di lavoro"

A Fabriano, nella tragedia individuale e collettiva della desertificazione industriale, è fiorita una nuova speranza: la determinazione a fare squadra. Nel principale distretto italiano dell’elettrodomestico, a farsi portavoce della disperazione sociale degli operai della ex Jb è stato la scorsa settimana l’arcivescovo di Fabriano e Camerino, monsignor Francesco Massara che ieri ha incontrato i sindacati. Una consapevolezza si fa strada: per contrastare la delocalizzazione, occorre puntare sul “know how” del territorio.

Ex Jb, tavolo per Fabriano

Sulla crisi aziendale più grave del centro Italia, Interris.it ha intervistato il sindaco pentastellato di Fabriano, Gabriele Santarelli, da tre anni primo cittadino del comune-simbolo del “modello adriatico di sviluppo“. Tre settimane fa è stata aperta, infatti, alla Indelfab di Fabriano la procedura di mobilità per tutti i dipendenti ex JP Industries. Per ora è l’ultimo atto di una vicenda che si trascina da oltre dodici anni. Da quando cioè l’allora Jp Industries ha acquistato il comparto bianco della ex Antonio Merloni. Una filiera di eccellenza costituita dagli stabilimenti fabrianesi di Santa Maria e Maragone e da quello umbro di Gaifana. Oggi 600 dipendenti rischiano ora di finire in strada, senza più un lavoro.
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L’ex Jp di Fabriano è una delle 160 crisi aperte al Ministero dello Sviluppo Economico (Mise)
Sindaco, quali sono i nodi da sciogliere all’ex Jp? 
“La situazione è molto delicata. Stiamo parlando della sorte di seicento operai e delle loro famiglie. Ai 600 dipendenti dell’ex Jp vanno aggiunti centinaia di altri lavoratori dell’indotto. In molti casi all’ex Jp si tratta di persone in cassa integrazione da dodici anni. Hanno vissuto questo lunghissimo periodo di logorante incertezza con la speranza che la  situazione si risolvesse. Nessuno di loro ha potuto fare un’autentica riqualificazione professionale. Chi per una vita ha stretto viti o ha montato vaschette di lavatrici è rimasto ferma a quella formazione lavorativa. Insomma, non c’è stato un adeguamento della loro professionalità. Ciò rende complesso reimpiegarli in altri contesti produttivi o in differenti ruoli. Al contrario della riqualificazione, è accaduto qualcosa di opposto”.

Cosa?
“Tanti operai dell’ex Jp si sono reinventati un mestiere. In attesa che qualcosa si muova. In nero c’è chi fa lavoretti di giardinaggio o nell’edilizia. Ciò accentua le difficoltà di un tessuto socio-economico già in crisi. Così si determina, infatti, una concorrenza ai danni degli operatori di vari settori. I professionisti della tinteggiatura, per esempio, si trovano a dover competere con operai dell’ex Jp che integrano i loro  850 euro di sussidio con occupazioni saltuarie. E magari pitturano le facciate delle case. Questo inoltre, dal punto di vista delle politiche di sostegno, provoca un’altra stortura. Cioè rende difficile comprendere quanti dei 600 dipendenti che rischiano il posto siano in reali condizioni di necessità. E quanti già arrotondino con altri lavoretti”.

Quanto incide l’indotto?
“Attorno all’ex Jp ruota un sistema produttivo molto articolato. Una galassia occupazionale che va dai lavoratori degli imballaggi alle aziende della componentistica. Ad essere coinvolta, infatti, è un’intera filiera industriale”.

Quali passi avanti sono possibili?
“Un anno fa ho avuto un incontro incoraggiante con i quadri della multinazionale turca Beco. Sono tutti originari di Fabriano. Quando la Whirlpool acquistò l’Indesit, molti progettisti e addetti al marketing persero il posto di lavoro per i tagli provocati dalla sovrapposizione degli organici. I doppioni furono fatti fuori”.

Cosa accadde?
“Sono andati a lavorare alla Beco e le loro famiglie continuano a vivere a Fabriano. Mi espressero la loro intenzione di insediarsi con un ufficio a Fabriano in modo da non doversi più spostare a Milano per lavorare. A muoverli era sia la progettualità imprenditoriale sia il senso di rivalsa verso chi li aveva costretti a cambiare azienda Ora stanno effettivamente aprendo l’ufficio. Il prossimo passo al quale mi avevano fatto riferimento in quel colloquio è un’altra apertura nel nostro territorio. Quella di un centro di ricerca e sviluppo di elettrodomestici da incasso. La prima parte del piano si è realizzata, sulla seconda non ho notizie”.
Condivide l’appello dell’arcivescovo Massara contro la desertificazione industriale in un distretto storico del sistema Italia?
“Sì. E’ giusto impegnarsi per tenere alta l’attenzione sulla crisi occupazionale. A Fabriano esiste il patrimonio collettivo del ‘know how’ industriale. Ci troviamo in una posizione strategia per le aziende del mobile della Toscana e della provincia di Pesaro. Logisticamente qui trovano tutto ciò di cui hanno bisogno. Dalle cappe aspiranti che sono prodotte a Fabriano, ai piani cottura e alle lavastoviglie. Qui i mobilieri possono acquistare il pacchetto completo. Per chi si occupa di questo settore Fabriano fornisce ogni cosa necessaria al comparto”.
Qual è il pericolo maggiore nella vertenza dell’ex Jp?
“E’ un problema che si trascina da tanto tempo. Quindi il rischio è che nessuno si senta più responsabile della situazione. Ricordo ai tempi dell’università i miei coetanei che lavoravano nell’azienda di Antonio Merloni. Già a turno facevano settimane di cassa integrazione. E’ uno stato di cose che si protrae da molto tempo. Con chiunque si parli oggi, ti rispondono che non è loro responsabilità. Malgrado la via sia in salita, è giusto e necessario provare ogni strada. I tavoli al ministero, in regione, tra istituzioni e parti sociali si fanno anche per non far scendere il silenzio, anche se le difficoltà sono innegabili”.
E’ possibile uscire dal tunnel della crisi?
“Fabriano è nell’area del cratere, ci sono risorse e incentivi sul tappeto. Sono anche ripartite le opere infrastrutturali e il territorio ricomincia ad essere appetibile per le imprese. Ma per avere un futuro serve una trasformazione. Il sistema produttivo va adeguato alle nuove esigenze. Però Fabriano ha certamente le potenzialità per risorgere. E al ministero dello Sviluppo economico abbiamo portato progetti e proposte”.