“Humanities in Oncology”: la prima scuola che insegna ad umanizzare le cure

L'intervista di Interris.it ha intervistato la dottoressa Rosa Rita Silva che ha spiegato cosa significa umanizzare le cure e l'importanza di questo fattore nel campo dell'oncologia

A sinistra: la dottoressa Rosa Rita Silva. A destra: la targa della Scuola Cipomo "Humanities in Oncology"

E’ nato in Italia la scuola “Humanities in Oncology“, la prima in Italia e una delle prime in Europa, rivolta ai medici oncologi. Un corso di studio voluto da Cipomo (il Collegio Itaiano dei Primari Oncologi Medici Ospedialieri) che ha come intento quello di creare una connessione tra l’oncologia, le scienze umane applicate in medicna e l’addestramento alla comunicazione: sono questi gli elementi che i medici oncologi potranno acquisire per arricchire il loro bagagli professionale e per migliorare il comunicare e il rapportarsi ai pazienti.

L’intervista

Per approfondire l’argomento, Interris.it ha avuto il piacere di intervistare la dottoressa Rosa Rita Silva, Direttore Dipartimento specialità Mediche Ast Ancona e Direttore della Struttura Complessa Oncologia Medica presso l’Ospedale Profili di Fabriano, e membro dell’Ufficio di Presidenza del CIPOMO, in qualità di Tesoriere.

Dottoressa, cosa si intende per umanizzazione delle cure?

“L’idea di umanizzazione richiama la centralità della relazione e dell’unicità umana nella pratica clinica. L’umanizzazione – intesa come impegno a rendere i luoghi di assistenza e i programmi diagnostici terapeutici orientati quanto più possibile alla persona, considerata nella sua interezza fisica, sociale e psicologica – è un elemento essenziale per garantire la qualità dell’assistenza.” (Agenas dic.2021). Un aspetto cardine del processo di umanizzazione dell’assistenza consiste nel tempo dedicato alla relazione con i pazienti.  Il ‘tempo di relazione’ è ‘tempo di cura’, vale a dire che esso genera un valore, che purtroppo è poco misurabile e spesso incompatibile con i minutaggi richiesti dalle valutazioni econometriche dei nostri Controlli di Gestione. Quindi potremmo dire da ‘curare’ a ‘curare con cura’”.

Quanto è importante l’umanizzazione in campo oncologico?

“Quando la ‘persona’ si confronta con una diagnosi di cancro, patologia complessa, numericamente rilevante e ad alto impatto psicosociale, umanizzare i percorsi diagnostico terapeutici ed i luoghi di assistenza assume carattere strategico, sia a favore del paziente riguardo la qualità delle cure ricevute e percepite, sia a favore dei sanitari riguardo l’esperienza professionale vissuta. Dalla diagnosi, ai trattamenti e ai follow-up le persone entrano in setting spesso drammaticamente diversi: ogni capitolo è una pagina bianca che scrive una nuova storia. Non sempre però ciò che i professionisti ritengono corretto e giusto per i pazienti è da essi sempre e comunque condiviso: è necessario pertanto partire dagli effettivi bisogni e preferenze degli assistiti. Il CIPOMO (Collegio Italiano dei Primari Oncologici Medici Ospedalieri), con l’obiettivo di analizzare i bisogni dei pazienti che afferiscono ad un reparto di Oncologia, ha recentemente condotto una survey sul territorio nazionale su 916 pazienti espressione della realtà assistenziale di tutte le regioni italiane. Le analisi sono state condotte su: Criticità durante il percorso; Accessibilità servizi oncologici; Accoglienza ospedaliera; Esigenze e richieste; Proposte da parte dei pazienti. Le survey hanno consentito di rilevare che: la quasi totalità dei pazienti (90-95%) riporta di non aver sperimentato significative criticità e di valutare le visite come adeguate. Aspetti comunemente legati all’umanizzazione (attività espressive, motorie, di rilassamento, cura dell’immagine ecc) non sembrano di interesse dei pazienti (vuoi perché già presenti vuoi perché ritenuti non prioritari). 1 paziente su 10 ritiene che la comunicazione con professionisti non sia adeguata”.

Su quale paradigma si basa l’umanizzazione delle cure?

“Al di là delle competenze scientifiche, certamente la disponibilità all’ascolto, la responsabilità nelle scelte, lo scrupolo e l’impegno indipendentemente da etnia, religione, censo, la corretta informazione, l’essere moralmente ineccepibili, il rispetto dei colleghi nonché la diligenza, la perizia e la prudenza nel prestare il proprio operato rappresentano i ‘fondamentali’ per una buona medicina. Purtroppo l’approccio tecnologico ha spersonalizzato la medicina e si pensa che questo sia più che sufficiente a fare bene in particolare il ruolo medico, ma non è così. Il malato vuole empatia ed è assolutamente necessario riscoprire le ragioni e le motivazioni di un impegno. Riscoprire dunque i ‘fondamentali’ che sono propedeutici al sapere tecnico e agli atti conseguenti”.

Pensa che medici e infermieri nel nostro Paese siano formati adeguatamente su questo tema?

“Purtroppo nelle Università si insegna tutto meno che l’essere empatici con i pazienti. Molte nozioni tecniche, molti quiz, molte lezioni ex cathedra, ma nulla sull’essere ‘umani’ verso i malati.  Ci vorrebbe la ‘Cattedra dell’Umanità’ dove insegnare che  al dì là delle competenze scientifiche, sicuramente essenziali  per formare un buon professionista; la disponibilità all’ascolto, ad  essere capaci di comprendere il punto di vista soggettivo del paziente e dare  al malato tempo di esprimersi, co-costruire un percorso rispettoso dei bisogni e della unicità della persona che ci sta davanti così come co-costruire delle modalità condivise di lavoro con i colleghi, rappresentano  elementi  indispensabili”.

Cure più orientate alla persona possono fare la differenza nella vita di un paziente con il cancro?

“L’impegno dei professionisti per un orientamento dell’assistenza centrato sulla persona richiede una formazione alle relazioni umane degli operatori, con acquisizione e manutenzione di competenze comunicativo-relazionali volte sia al sistema dei rapporti tra operatori, sia al tradizionale e ricorrente tema del rapporto medico-paziente (con le relative connessioni alle basi stesse dell’esercizio dell’arte medica e dei dilemmi di bioetica. Dalla condivisione di tali esigenze nasce la Scuola Humanities in Oncology del CIPOMO che ha iniziato le sue attività a Marzo 2024. Il metodo formativo prevede che i singoli temi vengano discussi partendo dal punto di vista del paziente, che viene integrato con i punti di vista dell’esperto della tematica e degli oncologi del Direttivo CIPOMO. I temi sono: il tempo e la parola; il dolore e la speranza; il gruppo e i sistemi. La scuola è rivolta a 20 oncologi (1 per ogni regione italiana) sotto i 40 anni d’età. Sono particolarmente grata, come membro dell’Ufficio di Presidenza del CIPOMO, in qualità di Tesoriere, alla Presidente Luisa Fioretto fondatrice insieme a Alberto Scanni e Luigi Cavanna (rispettivamente Presidente emerito e Past President CIPOMO) della Scuola di Umanizzazione in Oncologia, che rappresenta uno spazio di crescita per gli oncologi che permetterà loro di allenarsi ai ‘fondamentali’ per una buona medicina oncologica, comprendendone l’importanza e l’utilità pratica”.