All’estero cinque milioni di italiani

Negli ultimi quattro anni ha lasciato l’Italia quasi l’1 per cento dei suoi abitanti, il doppio rispetto a dieci anni fa. Insomma, il vero problema non è l’immigrazione, ma l’emigrazione. “In nove anni, 2,7 milioni di europei si sono trasferiti in Germania, al netto di coloro che sono ripartiti – evidenzia il Foglio -. Il risultato è che i paesi di origine hanno fatto un “regalo” alla Germania superiore a 200 miliardi di euro di investimenti pubblici in istruzione, che sono stati messi a frutto dalla Germania. Dunque, il vero problema non è l’immigrazione, ma l’emigrazione. Negli ultimi quattro anni ha lasciato l’Italia quasi l’un per cento dei suoi abitanti, a ritmi raddoppiati rispetto a dieci anni fa”.

Ondata migratoria

Tra il 1861 e il 1985 dall'Italia sono partiti quasi 30 milioni di emigranti. Era dall’inizio degli anni Ottanta che non assistevamo a un fenomeno simile. Pochi anni prima, negli anni Settanta, si era conclusa la seconda grande fase di emigrazione italiana oltreconfine, soprattutto europea, con i nostri connazionali in partenza dal Mezzogiorno (Sicilia, Calabria, Abruzzo, Campania e Puglia, ma anche Veneto) e diretti in Svizzera, Belgio, Francia e Germania. Un’ondata migratoria conclusa con i rimpatri di molti italiani negli anni Settanta. La “tregua” dell’emigrazione tricolore è durata però solo una trentina di anni. Poi, documenta il Sole 24 Ore, l’emorragia di italiani dal nostro Paese è tornata, anche se con numeri inferiori a quelli della prima ondata migratoria (dall’Unità d'Italia al primo dopoguerra) e della seconda (dal secondo dopoguerra agli anni Settanta).

Effetto della crisi economica

Dal 2008, anno della grande crisi mondiale, “i valori delle cancellazioni di italiani verso l’estero hanno conosciuto un forte e accentuato aumento che ne ha portato il numero fino alle 120mila unità del 2018, mentre le iscrizioni solo dal 2015 hanno iniziato a crescere, ma non hanno ancora superato le 50mila unità. Il risultato è stato una crescita sempre più intensa del saldo migratorio, che ha portato negli ultimi anni a perdite comprese tra le 72mila e le 77mila unità”, – spiegano su Neodemos.info i demografi Corrado Bonifazi e Frank Heins. “In che cosa si differenzia dagli altri periodi storici la nuova emigrazione?- si chiede il quotidiano della Confindustria-.. Innanzitutto dalla provenienza: quasi il 70% dei nuovi migranti italiani proviene da una regione del Nord o del Centro del Paese, il che capovolge la tradizionale geografia dell’emigrazione dal Mezzogiorno. L’anno in cui il Centro-Nord ha “sorpassato” il Sud come saldo migratorio negativo è il 2007, quindi poco prima della grande crisi, anche se la situazione è precipitata dal 2011”.  

Trama di relazioni

Su questo cambiamento, secondo Bonifazi e Heins. ha sicuramente pesato la maggiore vicinanza geografica del Centro-Nord con i Paesi di destinazione e la più fitta trama di relazioni di diversa natura che lega questa parte d’Italia ai nostri vicini d'Oltralpe. “Nel momento in cui la crisi ha determinato una riduzione delle opportunità di lavoro, la scelta di spostarsi in un Paese vicino è evidentemente entrata più facilmente nel novero delle possibilità di chi vive nell’Italia centro-settentrionale di quanto non sia avvenuto per gli italiani residenti nel Mezzogiorno”, osserva il Sole 24 Ore. L’attenzione dei media si è concentrata sulla “fuga dei cervelli”, e in effetti secondo i dati Istat la percentuale di italiani laureati che si sono trasferiti all’estero è passata dal 25,2% del 2008 al 31,7% del 2017, con un chiaro trend di crescita. Il 31,7% di laureati resta comunque inferiore sia alla percentuale dei diplomati (34,3%, a sua volta in crescita dal 28,9% del 2008) che a quella di chi ha solo terminato la scuola dell’obbligo (34%, in calo dal 45,9% del 2008). Ciò non toglie in termini percentuali la fuga di laureati e diplomati sia in crescita, mentre quella di chi ha un’istruzione di base è in calo. Nel 2017, tre quarti degli italiani che hanno lasciato la Penisola si sono trasferiti in un Paese Ue o Efta, in particolare Germania, Gran Bretagna, Svizzera o Francia.

Ritorno

Occhio poi al fenomeno della “migrazione di ritorno” (onward migration), che pesa quasi per il 40% della nuova emigrazione italiana ed è strettamente legato all'immigrazione straniera dei decenni precedenti. Quasi 33mila italiani che nel 2017 hanno lasciato il nostro Paese sono infatti nati all’estero. “Secondo l’Istat si è in presenza prevalentemente di naturalizzati che ritornano nel Paese d’origine o vanno in un altro Stato  sottolineano Bonifazi e Heins -. Un valore che giunge a 44mila unità se si considerano anche i figli nati in Italia che emigrano con la famiglia”. Quasi il 40% della recente emigrazione italiana sarebbe quindi da considerare, direttamente o indirettamente, una migrazione di ritorno, ossia la migrazione in un Paese terzo di persone già emigrate dallo Stato di nascita. Ciò, evidenzia il Sole 24 Ore, mostra come il fenomeno della nuova emigrazione italiana abbia uno stretto legame anche con l’immigrazione straniera degli anni passati.

Radici storiche di un fenomeno

La maggioranza degli emigranti italiani, oltre 14 milioni, partì nei decenni successivi all'Unità di Italia, durante la cosiddetta “grande emigrazione” (1876-1915). “Intere cittadine, come Padula in provincia di Salerno, videro la loro popolazione dimezzarsi nel decennio a cavallo tra '800 e '900- ricostruisce Focus-. Di questi quasi un terzo aveva come destinazione dei sogni il Nord America, affamato di manodopera.  A partire non erano solo braccianti. Gli strati più poveri della popolazione in realtà non avevano di che pagarsi il viaggio, per questo tra gli emigranti prevalevano i piccoli proprietari terrieri che con le loro rimesse compravano casa o terreno in patria”. New York e gli Stati Uniti le destinazioni più gettonate. “Ma non le uniche – così come non si partiva solo dal Sud Italia – sottolinea il mensile diretto da Raffaele Leone -. I genovesi ad esempio ben prima del 1861 partirono per l'Argentina e l'Uruguay. E, proprio come gli immigrati oggi che giungono da noi, non iniziavano l'avventura con tutta la famiglia: quasi sempre l'emigrazione era programmata come temporanea e chi partiva era di solito un maschio solo”. A fare eccezione fu solo la grande emigrazione contadina di intere famiglie dal Veneto e dal Meridione verso il Brasile, specie dopo l'abolizione in quel paese della schiavitù (1888) e l'annuncio di un vasto programma di colonizzazione.

Destinazioni diverse

Di solito chi partiva dalle regioni del Nord si imbarcava a Genova o a Le Havre in Francia. “Chi partiva dal Sud invece si imbarcava a Napoli- documenta Focus-. Il rapporto tra passeggeri di prima classe e di terza era di 5mila a 17mila e le differenze di trattamento per questi ultimi abissali: un sacco imbottito di paglia e un orinatoio ogni 100 persone erano gli unici comfort di un viaggio che poteva durare anche un mese. Molti morivano prima di vedere il Nuovo Mondo. Una volta arrivati, superato l'umiliante filtro dell'ufficio immigrazione di Ellis Island, iniziava la sfida per l'integrazione. Se in Sud America conquistarsi un posto nella nuova patria fu più facile, negli Stati Uniti era una faticaccia. I nostri connazionali preferivano così ghettizzarsi nei quartieri italiani e frequentare scuole parrocchiali, rallentando così la diffusione dell'inglese nelle comunità”.

Emorragia senza fine

Quello che oggi sta vivendo l’Italia è un esodo pari a quello del Secondo dopoguerra. Un’emorragia di connazionali che lasciano il Paese per cercare condizioni migliori. Se ne vanno diplomati, laureati, famiglie con minorenni, anziani. La Stampa traccia il quadro e spiega che i numeri dell’Aire (cioè dell’Anagrafe degli italiani all’estero) raccontano soltanto parte del fenomeno, perché quei dati vanno incrociati con le “altre statistiche anagrafiche dei maggiori Paesi europei”. I numeri in mano alla Farnesina delineano un quadro chiaro: dai 3,1 milioni di italiani all’estero registrati nel 2006, si è passati a 5,1 milioni nel 2018. Nell’ultimo anno sono 123.193 quelli che hanno deciso di trasferire la residenza all’estero. Un numero, sottolinea il quotidiano torinese, che equivale alla popolazione di Monza o Pescara. Il 27,4% di chi se ne va ha tra i 18 e i 34 anni, ma “rispetto all’anno precedente c’è stato nel 2017 un aumento di quasi il 3 per cento di persone tra i 35 e i 49 anni”. Nel complesso, il 56% degli expat ha tra i 18 e i 44 anni, mentre nel 19% dei casi si tratta di minorenni. Un dato che indica come siano interi nuclei famigliari a espatriare. E il grado di istruzione di chi se ne va è più alto rispetto al passato: “Il 34,6% ha la licenza media, il 34,8% è diplomato e il 30% è laureato“.