L’arresto in Vaticano, gli accertamenti istruttori e la difesa di Torzi

Il ruolo del broker italo inglese nell'acquisto del palazzo di Sloane Avenue a Londra da parte della Santa Sede. Le tappe della vicenda

Foto © Vatican Media

“Non sono autorizzata a dire nulla in questo momento. Posso solo dire che il mio assistito”, Gianluigi Torzi, “è stato fermato per fare delle verifiche di carattere istruttorio, quindi è in stato di fermo”, affermava ieri sera all’Adnkronos  l’avvocato Ambra Giovene, che assiste il broker italo londinese. “Questo – continua il legale – è quello che mi è stato riferito. Sono necessari degli accertamenti istruttori, sulla base di quelli che sono gli elementi in possesso del Promotore di giustizia del Vaticano. Non ho elementi in più, in questo momento, perché è una cosa appena successa e ho bisogno di parlare con il mio cliente, prima di poter valutare quelli che siano gli elementi utili per una informazione corretta”. Già tre mesi fa si era allargato l’inchiesta che a ottobre aveva visto cinque dipendenti della Santa Sede indagati e sospesi. Il 18 febbraio, nell’ambito di una perquisizione ordinata dal Promotore di Giustizia, Gian Piero Milano, e dall’Aggiunto Alessandro Diddi, fu eseguito il sequestro di documenti e apparati informatici presso l’ufficio e l’abitazione di monsignor Alberto Perlasca, già Capo ufficio amministrativo della Prima Sezione della Segreteria di Stato”. Perlasca, comasco, 59 anni, dal luglio 2019 Promotore di Giustizia sostituto presso il Supremo Tribunale della Segnatura apostolica, diventò dunque il sesto indagato dell’inchiesta.

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Il monito del Papa

Il provvedimento assunto nell’ambito dell’inchiesta sugli investimenti finanziari e nel settore immobiliare della Segreteria di Stato, era da ricollegarsi, pur nel rispetto del principio della presunzione di innocenza, a quanto emerso dagli interrogatori dei funzionari indagati e a suo tempo sospesi dal servizio. Da allora l’Ufficio del Promotore e il Corpo della Gendarmeria hanno proseguito negli accertamenti di carattere amministrativo-contabile e nelle attività di cooperazione con le autorità investigative straniere. L’indagine è volta a verificare la sussistenza di ipotesi di reati quali il peculato, l’abuso di autorità e la corruzione. All’origine delle iniziative della magistratura ci sono state le denunce frutto di attività già svolte da organismi finanziari e di controllo vaticani, lo Ior e il Revisore generale. Aprendo l’anno giudiziario in Vaticano, il 15 febbraio, Papa Francesco aveva fatto riferimento all’inchiesta riguardante la gestione di fondi e di immobili (come quello di Sloan Avenue a Londra), parlando di “situazioni finanziarie sospette, che al di là della eventuale illiceità, mal si conciliano con la natura e le finalità della Chiesa, e che hanno generato disorientamento e inquietudine nella comunità dei fedeli”. E aveva sottolineato il Pontefice: “Un dato positivo è che proprio in questo caso, le prime segnalazioni sono partite da autorità interne del Vaticano, attive, sia pure con differenti competenze, nei settori della economia e finanza. Questo dimostra l’efficacia e l’efficienza delle azioni di contrasto, così come richiesto dagli standard internazionali”. Il cardinale Angelo Becciu, sostituto alla Segreteria di Stato fino al 2018, nel corso della presentazione del libro Extra omnes ha spiegato che per quanto riguarda l’acquisto dell’immobile di Londra “l’Obolo di San Pietro non è stato intaccato“, ma “si è fatto un investimento su un palazzo”, accendendo un mutuo perché gli interessi erano bassi. “Era un’occasione buona e opportuna che oggi tanti ci invidiano- aggiunse il porporato-  Con la Brexit il valore del palazzo si è triplicato. Posso parlare perché non sono tra gli indagati. Quanto ai miei collaboratori, li ho conosciuti come persone oneste, dedite al dovere, fedeli. Aspettiamo, ho fiducia nella magistratura. Stanno soffrendo tanto”.

Foto © Riccardo Antimiani per Ansa

La vicenda

Estorsione da 15 milioni al Vaticano. E’ l’inquietante ipotesi che emerge dall’inchiesta di Oltretevere che ha portato ieri all’arresto di Gianluigi Torzi nell’ambito delle indagini sull’acquisto del palazzo di Sloane Avenue a Londra da parte della Santa Sede. Torzi, imprenditore molisano, stando alle ricostruzioni dell’accusa sarebbe entrato in contatto con la Segreteria di Stato per aiutarla a risolvere l’impasse della partecipazione al fondo Athena di Raffaele Mincione, partecipazione finanziata con i soldi dell’Obolo di San Pietro – destinati ai poveri – e costata alle casse vaticane – sempre secondo quanto ricostruito dagli inquirenti – perdite per svariati milioni di euro. Il broker ora agli arresti, però, stando alle accuse si sarebbe ben presto trasformato nell’uomo in grado di tenere in pugno la segreteria di Stato fino a portare a compimento una estorsione di 15 milioni. A mettere Torzi nelle condizioni di portare a segno un’estorsione al Vaticano sarebbe stata la truffa che, sempre secondo gli investigatori, l’imprenditore avrebbe commesso ai danni della Segreteria di Stato. In particolare, riferisce Adnkronos, Torzi, che con la sua Gutt Sa aveva triangolato per la Santa Sede l’acquisto da Mincione dell’immobile di Londra al centro dell’inchiesta, avrebbe trattenuto senza farlo sapere alla Segreteria di Stato mille azioni (le uniche con diritto di voto) della società, con ciò impedendo di fatto al Vaticano(cui aveva ceduto 30mila azioni ma senza diritto di voto) di disporre del palazzo. Gli inquirenti avrebbero scoperto che nel corso di una riunione per convincere l’imprenditore a cedere le sue azioni e alla quale parteciparono anche monsignor Edgar Pena Parra, Sostituto della Segreteria di Stato Vaticana, Giuseppe Maria Milanese, che avrebbe agito nell’interesse della Segreteria di Stato, l’avvocato dello studio Ernst & Young,Manuele Intendente e Renato Giovannini, rettore vicario Università Guglielmo Marconi, Torzi si sarebbe detto disponibile a rinunciare, previo risarcimento delle spese e con un piccolo margine di guadagno, somma che in un successivo incontro venne quantificata in 3 milioni di euro. Tuttavia, nonostante l’accordo verbale, nell’ipotesi investigativa Torzi non avrebbe restituito le azioni residue della Gutt Sa.

Strategia al rialzo

Anzi, la sua strategia “al rialzo” sarebbe emersa nel corso di una drammatica e lunghissima riunione nello studio di Giovannini, dalla quale sarebbe venuto fuori che più persone erano state coinvolte nell’operazione e che somme di denaro erano state date o promesse anche ad ”altri”. Vero? Falso? E chi sarebbero questi ”altri”? E, ancora, che Enrico Crasso, gestore delle finanze della Segreteria di Stato attraverso Sogenel Capital Holding, e Fabrizio Tirabassi, responsabile dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, qualche giorno prima in un incontro a Milano gli avessero offerto 9 milioni di euro per cedere le azioni. Una cifra consistente, ritenuta però insufficiente da Torzi che, secondo quanto riferito agli investigatori da più testimoni, sarebbe arrivato a ipotizzare la somma di 24 milioni e perfino di 30 milioni per restituire l’immobile di Londra alla Santa Sede, in un’escalation che, evidenzia Adnkronos, avrebbe spinto Giovannini, interrogato dagli inquirenti vaticani, a non poter negare che le richieste dell’imprenditore molisano avessero i toni di una ”estorsione”. Successivamente, nel corso di un incontro con il Sostituto della Segreteria Vaticana, Tirabassi e monsignor Alberto Perlasca, responsabile dell’ufficio amministrativo della Segreteria, dalle indagini sarebbe emerso che avrebbero proposto di prelevare i 20 milioni necessari a chiudere la transazione con Torzi dal cosiddetto Fondo discrezionale, un fondo creato nel 2015 per le spese discrezionali del Papa. Operazione che sarebbe finìta nel nulla anche grazie alla mediazione di monsignor Mauro Carlino che avrebbe convinto Torzi ad accettare 15 milioni anziché 20, al pagamento dei quali, secondo la procura vaticana, si sarebbe consumata l’estorsione.