Improta (Oltre lo sguardo): “Lottare quotidianamente per affermare il diritto all’inclusione”

L'intervista di Interris.it a Elena Patrizia Improta, presidente di Oltre lo Sguardo e madre caregiver sul tema del Dopo di Noi

La legge numero 112 del 22 giugno 2016 conosciuta anche come Dopo di Noi è composta da dieci articoli e ha l’obiettivo è quello di evitare la sanitarizzazione delle persone con disabilità più grave nel momento in cui vengono a mancare i parenti che li hanno accuditi e seguiti. In questi anni, si sono susseguiti numerosi esempi di diverse realtà del Terzo Settore e del mondo dell’associazionismo nonché di genitori caregiver, che hanno attuato molte esperienze con l’obiettivo di garantire un Dopo di Noi cominciando dal Durante Noi. Interris.it, in merito a questo tema, ha intervistato Elena Patrizia Improta, counselor professionale, caregiver madre di Mario e impegnata dal 2006 in qualità di presidente della Onlus “Oltre lo Sguardo”, associazione che sta mettendo in pratica un progetto di cohousing rivolto alle persone con disabilità e fragilità.

volontariato

L’intervista

Come nasce e che obiettivi si pone “Oltre lo Sguardo” Onlus?

“Oltre lo Sguardo” Onlus è nata nel 2006 a Roma, partendo da un’esperienza personale, in quanto sono una mamma caregiver. Ho un figlio di 32 anni con una grave disabilità motoria e intellettiva provocata da una sofferenza ipossico ischemica al momento del parto. L’esperienza di vita personale, a un certo punto, mi ha portato a credere fermamente che, l’unico modo, per andare avanti e trovare la forza, fosse quello di non isolarsi. Costituire un’associazione mi sembrava il modo migliore per unire le forze e stare vicino ad altri genitori e famigliari con l’obiettivo di portare avanti in primis battaglie culturali e il fondamentale percorso di vita del durante e dopo di noi”.

Che valore ha, per voi, l’inclusione delle persone con disabilità?

“A noi dispiace dover ribadire in ogni occasione e circostanza il diritto fondamentale di tutti i cittadini e di tutte le persone di far parte di una comunità. Il termine inclusione per noi dovrebbe essere scontato. È evidente che, le persone che vivono una condizione di disabilità, non sono la loro fragilità ma cittadini con pari diritti e dignità. Nonostante questi valori, nel 2022, ci troviamo ancora a lottare per affermare costantemente e quotidianamente il diritto all’inclusione. Ciò significa poter vivere in una condizione dignitosa, soprattutto dopo la scuola e il percorso educativo scolastico che, in realtà, è l’unico momento di pseudo inclusione e dopo questo, ci si imbatte nel baratro dell’esclusione. A meno che non si abbiano delle condizioni di disabilità che permettono l’inserimento lavorativo e educativo, si viene esclusi da tutto. È importante anche l’abbattimento delle barriere architettoniche per cui spesso ci si trova di fronte a degli ostacoli evidenti che complicano la vita delle famiglie nonché umiliano le persone con disabilità”.

Quali sono i vostri principali progetti in riguardo a questo?

“In questo momento stiamo portando avanti un progetto innovativo dal punto di vista culturale in riguardo al coabitare e cohousing che viene tanto nominato grazie alla legge 112 del 2016, la quale ha voluto creare un trampolino per una nuova forma di abitare ma, ad oggi, in Italia, non ci sono molte forme di cohousing come quelle concepite nel mondo anglosassone. In realtà, questa soluzione abitativa, prevederebbe il coabitare di persone normodotate che ospitano all’interno dei loro nuclei abitativi persone con disabilità, strutturando attorno a loro anche dei modelli di intervento educativo e psicologico, con l’obiettivo di sostenere la loro vita futura quando le famiglie d’origine non ci saranno più. Noi, per la prima volta, viviamo come nucleo famigliare ed io anche come responsabile legale della onlus, la condivisione dei nostri spazi abitativi con giovani adulti con disabilità, alcuni dei quali già orfani, altri con una famiglia monoparentale e con problematiche sociali di fragilità. Questa è la nostra esperienza di cui vorremmo rimanesse una traccia importante perché, molto spesso, si parla con superficialità di tali progettualità. La nostra struttura, dal punto di vista culturale, è un modus vivendi, il quale vuole fare si che, i giovani adulti con disabilità, possano ritrovare un ambiente familiare dove ci sia anche la partecipazione degli Enti Locali che, in qualche misura, garantiscano almeno una parte degli interventi di base e di assistenza di tipo psico educativo. Oltre a ciò, seguiamo dei progetti individuali rivolti ai giovani adulti che intraprendo un percorso lavorativo con le figure dei compagni adulti che agiscono in qualità di tutor nella vita quotidiana per quanto riguarda le relazioni pubbliche e private all’interno di aziende e società o cooperative di tipo b, ma anche nello strutturare dei percorsi di amicizia e relazione con i loro pari. Una delle grandi difficoltà di queste persone è che non riescono a mantenere delle relazioni amicali con i propri pari. Spesso vediamo che, le persone con grave disabilità, soprattutto intellettiva, vivono sempre con la mediazione di un operatore. Cerchiamo di lavorare perché, questa figura, possa in qualche maniera, essere presente per fare il modo che, nella convivenza quotidiana, loro riescano a relazionarsi da soli”.

Quali sono i vostri desideri per il futuro? In che modo, chi lo desidera, può aiutarvi?

“Viviamo fondamentalmente di raccolta fondi anche perché, i fondi previsti dalla legge 112 del 2016, sono veramente esigui. La nostra battaglia sul Dopo di Noi è molto chiara e diretta, finché non ci sarà un impegno al livello nazionale che preveda metaforicamente, non una torta per dieci da dividere per cento, ma una torta per cento da dividere per dieci, non si riuscirà a garantire tutto il necessario, se non grazie al Terzo Settore, alle famiglie e al contributo quotidiano di volontari come noi. Auspichiamo che, le persone, ascoltando e leggendo della nostra storia, possano “adottare” uno dei nostri ospiti, nel senso che, spesso, si adottano bambini all’estero che è sacrosanto aiutare, soprattutto nei paesi dei Terzo Mondo. Tuttavia, qualche volta, ci dimentichiamo di guardare la porta a fianco. Questa si può aprire, chiunque volesse aiutarci a sostenere il nostro progetto di cohousing e Dopo di Noi, può venire a toccare con mano ciò che facciamo. Questo è l’auspicio per un sostegno concreto, dal 5×1000 alle donazioni. In riguardo al futuro, al livello nazionale, siamo ancora molto indietro. Le nostre battaglie vanno avanti e, il 16 settembre, parleremo all’auditorium di Orbetello dove, con tutte le realtà e le istituzioni locali, parleremo delle fondazioni di partecipazione che potrebbero essere l’unica soluzione perché, laddove non si arriva con fondi pubblici non è mai sufficiente nemmeno il fondo privato e bisogna unire le forze. Costituendosi in fondazione e unendo varie realtà, i nostri cittadini con disabilità potranno parlare di Dopo di Voi, modificando la dicitura attuale. L’obiettivo è quello di essere forti insieme”.