Imposte patrimoniali, di cosa si parla

Qualche giorno fa, in una lunga intervista su La Repubblica, Maurizio Landini, neo segretario generale della Cgil, ha invocato l’adozione di una diffusa imposta patrimoniale per sostenere un vigoroso piano di investimenti pubblici e privati, chiamandola “tributo di equità contro le disuguaglianze” partendo dal presupposto, errato, che queste ultime siano aumentate negli ultimi anni. Come giustamente fa notare Carlo Stagnaro in un articolo su Strade, però, l’assunto su cui si basa il ragionamento del leader del più grande sindacato italiano non è supportato da alcun dato, anzi, se si considerasse l’indice di Gini, che indica la concentrazione di ricchezza, applicato al Paese questo mostrerebbe che negli ultimi quarant’anni, stante il valore oscillante intorno al 33%, la distribuzione della ricchezza sia pressoché costante e queste “disuguaglianze” siano più un’arma retorica che un fatto reale, benché strutturalmente alte dal 1978 ad oggi dopo un continuo calo significativo negli anni precedenti.

Detto questo, comunque, vale la pena di soffermarsi sull’ipotesi di applicazione delle imposte patrimoniali che, a periodo alterni, si affaccia all’interno del dibattito politico. Innanzitutto va ricordato come non sia affatto vero che in Italia queste non esistano o siano applicate in minima parte, il gettito fiscale italiano si assesta sui 522 miliardi di euro nel 2018, in continua crescita da oltre 10 anni nonostante gli anni di recessione e la crescita asfittica di questi ultimi anni, mentre le imposte patrimoniali (Imu/Tasi, imposte di bollo su conti correnti e deposito titoli, Ivie, Ivafe, etc.) pesano quasi per il 9% su di esso, non certo una percentuale irrisoria. In un paese con una pressione fiscale elevata come questo parlare di nuove imposte, solitamente, non avrebbe un gran riscontro ma, incredibilmente, quando si parla di imposte patrimoniali, benché già presenti e in forma tutt’altro che banale, le voci esplicitamente contrarie sono solitamente poche mentre gli intellettuali “impegnati” e i salotti bo-bo plaudono spesso a idee simili, probabilmente perché credono che, in caso di applicazione, queste colpirebbero solo altri.

La verità è che il ricorso a imposte su capitali e risparmi, perché questi sono i patrimoni, avrebbero un ritorno non banale su tutto il sistema. La teoria della tassazione ottimale, indica nella pianificazione delle modalità di tributo che queste debbano essere il meno distorsive possibili e che vadano ad applicarsi sulle grandezze con la minore elasticità all’imposizione fiscale possibile. Cosa vuole dire questa frase? La prima parte che le imposte dirette siano preferibili a quelle indirette, perché le prime provocano un effetto reddito, cioè iminuiscono meramente il reddito netto disponibile, mentre le seconde portano a un effetto sostituzione, cioè modificano le abitudini di spesa spingendo verso prodotti succedanei a minor prezzo influenzando non solo il livello della domanda ma anche la qualità della stessa. La seconda parte, invece, indica che le imposte reddituali siano preferibili a quelle patrimoniali perché, detto brutalmente, mentre nessuno si sognerebbe mai di guadagnare di meno per pagare meno tasse se i colpissero i risparmi e i capitali dei soggetti razionali o eviterebbero di accumulare risorse, che tanto verrebbero spogliate dalle pretese dello stato, o se i capitali fossero liquidi, li esporterebbero verso piazze con un fisco più benevolo.

Inutile dire che questa seconda ipotesi disegni uno scenario in cui i capitali necessari agli investimenti si ridurrebbero e, asintoticamente, sparirebbero poiché da un lato i privati azzererebbero la loro capacità di investimento e dall’altro lo stato perderebbe la base stessa da aggredire per finanziare gli investimenti
pubblici. Da questo ragionamento, ovviamente, escono i beni capitali più tartassati in Italia, cioè gli immobili.
Questi, infatti, sono illiquidi per definizione e la difficoltà, fosse anche solo temporale, di alienazione li porta ad essere un “salvadanaio” per lo stato. Non è un caso che quando si parli di imposte patrimoniali a livello immaginifico appaia come esempio classico l’imposta fondiaria, l’Ici/Imu/Tasi per riferirsi al sistema Italia.
Come patrimoniale, ovviamente, questo tipo di imposta o colpisce direttamente il reddito, perché il tassato solo con quello può adempiere per mantenere intatto il capitale, o, se le risorse reddituali non fossero sufficienti,  questi sarebbe costretto a liquidare il patrimonio stesso in tutto o in parte oppure a contrarre debiti per ottenere la liquidità per pagare le imposte; la pretesa di tassare i patrimoni per sgravare i redditi, come si vede, è quindi un’utopia nella migliore delle ipotesi o disonestà intellettuale nella peggiore di esse.

Il risultato, comunque, è sempre un progressivo impoverimento del sistema per il venir meno delle risorse necessarie agli investimenti propedeutici alla crescita, colpire i patrimoni, infatti, ha un duplice effetto sia psicologico sia reale. L’esempio del mercato immobiliare è perfetto, in questo caso: l’incertezza di poter far fronte a future pretese fiscali unita all’impegno finanziario che immobilizzerebbe risorse per lungo tempo va a
deprimere la domanda mentre l’offerta si arricchisce di molte costruzioni e abitazioni che i proprietari mettono in vendita per liquidarne il valore presunto ed evitare futuri esborsi fiscali. Il risultato è un calo repentino dei prezzi, una riduzione della domanda del nuovo e dei beni e servizi accessori, come opere idrauliche o elettrodomestici, con un conseguente impatto generalizzato su diversi settori industriali e produttivi. Questo è quello che vuole Landini? Più soldi per la spesa pubblica, nonostante la continua crescita delle risorse erariali nel corso degli anni, come detto poco fa, a discapito di tutto il resto?

Come si vede la mitologia dell’imposta di equità applicata ai patrimoni per ridurre il prelievo sui redditi da lavoro, ovvero della possibilità di finanziare un sistema di investimenti a stimolo di crescita e occupazione, potrebbe essere foriera esattamente dell’effetto contrario che non è certamente la cura di cui abbia bisogno questo Paese che, invece, necessiterebbe di un fisco meno rapace e più equo unitamente a una migliore allocazione delle risorse per garantire da un lato la ripresa della crescita economica e dall’altro, di conseguenza, maggiore mobilità sociale, unico veicolo affinché le disuguaglianze possano ridursi ancora.