GUARENTIGIE: 144 ANNI FA IL PRIMO RIAVVICINAMENTO TRA STATO E CHIESA

L’annessione di Roma al Regno d’Italia, il 20 settembre 1870, aprì la questione romana, legata alla presenza della Sede Apostolica all’interno della Capitale. Il Regno d’Italia il 13 maggio del 1871 emanò un provvedimento legislativo detto “Legge delle Guarentigie” che regolò i rapporti tra Stato Italiano e Chiesa fino alla stipulazione dei Patti Lateranensi, avvenuta nel 1929. All’indomani della Presa di Roma e dell’insediamento del Governo Italiano fu il Ministro Matteo Raeli ad avere l’incarico di redigere una legge ad hoc.

Il testo constava di venti articoli e si divideva in due parti: nella prima si trattavano le prerogative del Pontefice a cui venivano garantite l’inviolabilità della persona e il diritto di avere al proprio servizio guardie armate a difesa dei palazzi Vaticani, del Laterano, della Cancelleria e della villa di Castel Gandolfo. Tali immobili erano poi sottoposti a regime di extraterritorialità, che li esentava dalle leggi italiane. Infine si garantiva, all’articolo 4 della legge, un introito annuo di 3.225.000 lire (pari a circa 14,5 milioni di euro) per il mantenimento del Pontefice, del Sacro Collegio e dei palazzi apostolici; la seconda parte regolava i rapporti tra Stato e Chiesa, garantendo ad entrambi la massima indipendenza. Inoltre, i vescovi erano esenti dal giuramento di fedeltà al re d’Italia.

Tuttavia nel 1871 il Regno d’Italia e la Santa Sede non avevano rapporti bilaterali; pertanto, Pio IX, che si era chiuso nei palazzi vaticani dichiarandosi prigioniero politico, definì la legge un atto unilaterale del solo Ttato italiano e la dichiarò inaccettabile. Il 15 maggio 1871, ovvero due giorni dopo l’emanazione della legge, il pontefice emanò l’enciclica “Ubi nos”, con la quale veniva ribadito che il potere spirituale non poteva essere considerato disgiuntamente da quello temporale. All’inflessibile Pio IX, che definì la legge un “mostruoso prodotto della giurisprudenza rivoluzionaria”, lo Stato rispose con altrettanta intransigenza, sollecitato dalla sinistra la quale ottenne che fossero soppresse tutte le facoltà di teologia dalle università italiane e che i seminari fossero sottoposti a controllo statale.

I rapporti tra la Chiesa e lo Stato italiano peggiorarono ancora nel 1874, quando la Curia Romana giunse a vietare esplicitamente ai cattolici, con la formula del “non expedit”, cioè “non conviene”, la partecipazione alla vita politica. Soltanto nell’età giolittiana questo divieto sarebbe stato eliminato permettendo il rientro dei cattolici “come elettori e come eletti” nella vita politica italiana. La questione romana terminò definitivamente l’11 febbraio del 1929, quando nel palazzo del Laterano vennero firmati degli accordi dal cardinale Segretario di Stato Pietro Gasparri, per conto della Santa Sede, e il primo ministro Benito Mussolini, per conto del Regno d’Italia.