Fossa delle Marianne: sismografi abissali per studiare il punto più profondo della Terra

Si tratta del punto più profondo riscontrabile sulla crosta terrestre e, in quanto tale, risulta estremamente poco accessibile e, nondimeno, ancora intriso di misteri: si tratta, naturalmente, della Fossa delle Marianne, la depressione oceanica del Pacifico nord-orientale, posta nei pressi delle omonime Isole. Nel corso degli anni, sono stati numerosi i tentativi di discesa effettuati da scienziati e ricercatori, al fine di valutare le condizioni della vita abissale e tentare di chiarire i processi geologici che hanno portato alla formazione della fossa. Finora, sono state in tutto tre le persone in grado di toccare con successo il fondo del “blue hole”, tra le quali il regista James Cameron, unico civile a compiere l’impresa. Tuttavia, pur procedendo nel tempo con studi sempre più approfonditi e dati via via più precisi sulle profondità oceaniche, ciò che emerge oggi, secondo la ricerca effettuata dal geofisico marino, Jian Lin, è un movimento di subduzione del tutto inedito per una placca della litosfera. In effetti, la “procedura” abituale di tale spostamento, consiste nello scivolamento di una placca sotto l’altra, una prassi che, come spiegato dal ricercatore, in questo caso non avviene.

Cosa succede, dunque, fra la zolla oceanica delle Marianne e quella “vicina” delle Filippine? Secondo Lin, la subduzione si verifica attraverso un vero e proprio tuffo in verticale. In sostanza, il processo di scivolamento che, generalmente, porta al verificarsi di eventi quali tsunami e terremoti anche in zone particolarmente vicine alla Fossa, in questo caso si manifesta come una sorta di scorrimento perpendicolare. Al fine di comprendere meglio il fenomeno, un’impresa congiunta fra Cina e Stati Uniti, ha predisposto l’installazione di una rete di sismografi, grazie alla quale dovrebbe essere possibile ottenere un quadro più chiaro sui vari spostamenti effettuati dalle placche abissali.

“Ascoltando le onde sismiche – ha spiegato il geofisico -, ci proponiamo di ottenere un’immagine dettagliatissima degli strati di roccia deformate dentro e intorno alla fossa, alla ricerca di indizi sui meccanismi che li modellano”. Gli strumenti, 33 in tutto, sono stati piazzati dalla nave cinese Shiyan, alla profondità di poco più di 8mila metri, e sono stati progettati in modo da sopportare una pressione mille volte superiore a quella della superficie. L’intento, è cercare di studiare lo “strano comportamento” della placca nel suo punto più estremo, l’abisso Challenger, confrontando poi i dati ottenuti con quelli raccolti (a minore profondità) dall’ultima spedizione, nel 2012.

Un altro obiettivo, è tentare di spiegare l’assenza di terremoti di grandi proporzioni in questa zona. Secondo alcuni studiosi americani, le motivazioni potrebbero risiedere in uno “strappo” fra le placche, il quale renderebbe il suolo più morbido, facilitando il movimento verticale. A ogni modo, secondo Lin, la zolla delle Marianne sarebbe perfettamente in grado di generare eventi simili anche se, come specificato, i dati per poter fornire risposte più o meno valide sono ancora troppo pochi. Chissà che la rete sismografica non riesca davvero a far luce sull’abisso.