Infanzia: una scoperta scientifica cambia la lotta alle malattie del fegato

Trovata la causa dell'epatite infantile: ecco i risultati dell'indagine Inf-Act

Epatite
A difesa del fegato dei bambini. Gli scienziati italiani e inglesi hanno scoperto la causa dell’epatite infantile. Nel mirino dei ricercatori un virus (echo11), finora poco studiato perché ritenuto di scarso interesse, che è all’origine di questa grave patologia. “Abbiamo verificato che quest’organismo rende trasmissibile per via aerea l’epatite- spiega il team -. Un comportamento inimmaginabile, scoperto perché si sono percorse le strade meno ovvie”. E’ uno dei risultati messi a segno, in un anno di attività, dall’Inf-Act. Si tratta della Fondazione “One Healh basic and translational research actions addressing unmet needs on emerging infectious diseases”. Che coordina un progetto di partenariato esteso del ministero dell’Università e della Ricerca, presentati a Roma all’Istituto superiore di sanità (Iss). Tra i risultati “le mappe di rischio di insorgenza di casi di trasmissione di virus a trasmissione vettoriale“, “la costruzione di un database genomico degli organismi multiresistenti”, “lo sviluppo di materiali bioattivi, capaci cioè contrastare la diffusione dei virus”, e “molecole come potenziali antivirali ad ampio spettro molto interessanti”. Il progetto Inf-Act è stato pensato per coprire l’intera ‘filiera’ della ricerca in ambito sanitario dedicata alle possibili epidemie emergenti e riunisce 5 aree tematiche, o nodi di ricerca: patologie virali emergenti, artropodi vettori e patologie trasmesse da vettori, antimicrobico resistenza, epidemiologia, sorveglianza e modelli matematici, innovazione e nuove strategie terapeutiche.

Sos fegato

Individuata dunque la causa in un virus (echo11), finora poco studiato perché ritenuto “di scarso interesse”, riferisce Adnkronos, che è “all’origine dell’epatite infantile e neonatale”. Lo scorso anno nel Regno Unito si era verificato un incremento di casi di epatite acuta a eziologia sconosciuta nei bambini.  Per la prima area tematica, ‘Patologie virali emergenti’, “in questi mesi siamo riusciti a creare modelli predittivi per individuare quali focolai epidemici avrebbero potuto svilupparsi. Siamo riusciti a prevedere, per esempio, i casi di vaiolo delle scimmie (500 casi nella sola Lombardia)”. E “abbiamo anticipato – ricordano gli scienziati – la capacità di trasformarsi. Era una zoonosi pura (da animale a uomo), oggi sa trasmettersi da uomo a uomo. Analogamente, abbiamo analizzato i casi di aviaria, coinvolgendo anche la rete degli Istituti zooprofilattici. Studiando il caso della Lombardia in cui c’è stato un salto di specie. Passando dagli uccelli ai cani e gatti, fortunatamente senza riuscire a infettare l’uomo”. “La capacità predittiva – sottolinea Inf-Act- è stata possibile ed efficace, però, solo integrando le tante competenze, le conoscenze, le diverse specializzazioni distribuite sul territorio. Se non dovessimo proseguire su questa strada, sarebbe elevato il rischio che ci sfuggano molte situazioni che possono diventare un formidabile strumento d’azione. Quest’agire trasversale e multidisciplinare ci ha permesso, per esempio, di trovare la causa all’epatite infantile e neonatale“.
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Possibilità di studio

Per la tematica “Artropodi vettori e patologie trasmesse da vettori”, i vari gruppi di ricerca “hanno lavorato molto per migliorare la conoscenza della biologia degli artropodi vettori, come le zanzare, e dei patogeni da essi trasmessi. Una ricerca che mira anche ad ampliare le possibilità di diagnosi, cura e controllo di questi patogeni emergenti, con approcci innovativi e standardizzati a livello nazionale, per evitare la dispersione di sforzi, aumentare le sinergie e consentirne l’applicazione su vasta scala“. “Quest’anno di lavoro – evidenziano gli scienziati – ha anche visto grossi sforzi legati alla creazione di infrastrutture per migliorare le possibilità di studio su queste tematiche, modelli di condivisione di informazioni, tecnologie e metodi di lavoro che dovranno rappresentare una risorsa per il Paese anche al termine del progetto Inf-Act. Ad esempio, è in corso di finalizzazione la creazione del primo database centralizzato nazionale di tutti i dati raccolti a livello locale sulla presenza e distribuzione delle principali specie di artropodi di interesse sanitario. Con l’obbiettivo di superare l’attuale frammentazione e di rendere disponibili queste informazioni, in modo accessibile e centralizzato.

Mappe di rischio

Questo, sottolineano i ricercatori, “consentirà di sviluppare mappe di rischio di insorgenza di casi di trasmissione di virus a trasmissione vettoriale in collaborazione con il progetto italo-inglese. Con un database centralizzato dei campioni di artropodi raccolti dai vari gruppi. Che diventeranno una risorsa accessibile non solo a ricercatori Inf-Act, aumentando significativamente le possibilità di studio e ricerca“. Per l’area “Antimicrobico resistenza”, “chi si occupa di antimicrobico-resistenza sa che studia uno dei rischi più gravi e ubiqui che ci troveremo ad affrontare in caso di pandemia – ammoniscono gli esperti – poiché rischia di rendere spuntate le armi a disposizione. La condivisione di conoscenze e buone pratiche è stata la linea di indirizzo dei 5 sottotemi di quest’area di ricerca, che in pochi mesi è riuscita a costruire un database genomico degli organismi multiresistenti. Con l’intento di individuare quelli capaci di essere trasferibili dall’uomo agli animali e viceversa, includendo il reservoir ambientale, in un’ottica quindi One Health. Questo permettere di creare dei modelli predittivi che hanno già dimostrato la loro efficacia. Preannunciando diversi possibili focolai epidemici. In parallelo, oltre al gruppo di studio sui nuovi diagnostici, capaci di ridurre i tempi di identificazione di un microrganismo patogeno, alcuni gruppi di ricerca si sono concentrati sulle strategie alternative, capaci di ridurre l’utilizzo degli antibiotici. E, di conseguenza, lo sviluppo di resistenza“.
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Diagnosi

Tra le molte ricerche promettenti di particolare interesse per gli scienziati è l’uso di virus che infettano i batteri (batteriofagi), da usare come adiuvanti di antibiotici anche obsoleti, ridando quindi loro ‘vita clinica’. Altri gruppi, utilizzando batteriofagi, ma anche altre strategie di foto-sensibilizzazione, stanno approfondendo il campo dei biosensori, strumenti di uso semplice e rapido per fare diagnosi (per analogia, simili ai test rapidi usati in epoca Covid). Un gruppo di ricerca sta sviluppando modelli pre-clinici di infezione che utilizzano organi o linee cellulari per aiutare lo sviluppo di nuovi metodi di studio dell’interazioni microrganismo/ospite. Infine, la quinta linea d’azione riguarda il coinvolgimento delle reti cliniche per sviluppare terapie su misura. Completando così un approccio che parte dalle scienze omiche”.

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Dati

Si definiscono scienze omiche  quelle discipline che utilizzano tecnologie di analisi che consentono la produzione di informazioni (dati), in numero molto elevato e nello stesso intervallo di tempo. Utili per la descrizione e l’interpretazione del sistema biologico studiato. Fino ad arrivare alla fase diagnostica e a quelle preclinica e clinica, il tutto per il migliore utilizzo degli antibiotici”, precisa l’Inf-Act. La quarta area è dedicata a ‘Epidemiologia, sorveglianza e modelli matematici’. “Questo nodo sta realizzando una rete tra i diversi centri ed esperti con lo scopo di raccogliere ed integrare i dati di sorveglianza epidemiologica con quelli microbiologici, genomici e clinici con un approccio One Health che coinvolge il settore umano-animale-ambientale. Tale rete – illustrano i ricercatori – permetterà l’identificazione di modelli per l’individuazione precoce di infezioni emergenti, la messa a punto di meccanismi di allerta e di modelli matematici predittivi al fine di fornire informazioni e indicazioni ai decisori. E migliorare i sistemi di prevenzione e risposta ad eventuali emergenze infettive”.

Innovazione

Nella quinta tematica, “Innovazione e nuove strategie terapeutiche”, i risultati di quest’anno di lavoro sono stati molteplici. E hanno investito tutti i sottogruppi di lavoro. “Abbiamo già fatto pubblicazioni scientifiche legate ai nuovi bersagli per le terapie antivirali. Focalizzandoci su quelli ad ampio spettro, ossia capaci di attaccare contemporaneamente più virus o addirittura intere famiglie- spiegano gli scienziati-. Ad oggi abbiamo individuato molecole come potenziali antivirali ad ampio spettro molto interessanti che possono aiutarci a contrastare eventuali epidemie di Zika, West Nile e di alcuni coronavirus. Abbiamo ottenuti risultati promettenti anche sugli strumenti che possono modulare la risposta immunitaria, che è stata una delle criticità emerse prepotentemente durante l’emergenza Covid-19. Stiamo lavorando sulla capacità di ridurre l’infiammazione, sulla capacità di rendere gli individui più resistenti all’infezione. E stiamo studiando anche la dieta, per capire come particolari tipi di dieta possono contribuire a rafforzare l’organismo sotto attacco”.
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Situazioni critiche

“Un ambito su cui poniamo molte aspettative, infine, riguarda lo sviluppo di materiali bioattivi, capaci cioè contrastare la diffusione dei virus. Stiamo studiando materiali ibridi con proprietà antivirali per ridurre le infezioni da contatto su diverse superfici in ambito sanitario. Un successo in queste ricerche consentirebbe di innalzare il livello di sicurezza negli ospedali e nelle altre situazioni critiche, ma potenzialmente si potrebbero trovare applicazioni in tante altre situazioni. Negli oggetti di arredo degli autobus, nelle maniglie e via dicendo. A distanza di un anno siamo a metà strada. A partire da questi risultati promettenti e con quelli che ci attendiamo di raggiungere entro fine progetto, avremo certamente nuove armi nel nostro arsenale per contrastare le potenziali epidemie virali“, conclude la Fondazione Inf-Act.