Fede e cultura, la grande eredità del cardinal Martini

Arcivescovo di Milano per 23 anni, il cardinale attraversò il periodo più duro della città. Un "pescatore di uomini" che fece del dialogo la sua strada maestra. A otto anni dalla sua morte, un lascito che continua a portare frutto

Martini

“La più grande gioia? I ventidue anni di episcopato a Milano”. Lo disse al giornalista Aldo Maria Valli il cardinal Carlo Maria Martini, in una delle sue ultime interviste. Da nove anni era cessato il suo incarico presso l’Arcidiocesi di Milano ma, come disse lui stesso, quel periodo trascorso per le strade meneghine lo portò nel cuore per sempre. E i suoi passi risuonarono davvero nelle vie del capoluogo lombardo, che ammirava nella quiete notturna e che respirava attraverso il suo cuore pulsante, in prima linea sulla frontiera della Milano meno fortunata. Dirà in seguito: “Percepivo tuttavia nella profondità del mio cuore che Gesù stava dicendo proprio a me, in modo nuovo, le parole rivolte a Pietro: ‘Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini’. A distanza di oltre vent’anni avverto il bisogno profondo di ringraziare Dio perché la promessa è stata mantenuta al di là di ogni mia attesa”.

Gli Anni di piombo

Dal difficile passaggio degli anni 80, stagione di violenza e insofferenza civile per l’Italia, fino all’evoluzione sociale dei Novanta e Duemila, il cardinal Martini attraversò la storia recente di Milano. Quella degli Anni di piombo, che nell’anno del suo insediamento (1980) in Diocesi visse il suo periodo di maggior violenza, fu una sfida che avrebbe segnato per sempre l’arcivescovo, che la affrontò restando accanto alle vittime e cercando di instaurare un dialogo con terroristi ed eversori. Un invito alla riconciliazione e alla cessazione degli spargimenti di sangue, in un momento in cui l’intero Paese faticava a dare risposte contro la strategia della tensione.

Il cardinal Martini e le vie della fede

Biblista, teologo, pastore, esegeta, uomo di profonda cultura e sapienza, dotato di una scrittura di rara bellezza, Carlo Maria Martini iniziò giovanissimo a intraprendere i suoi studi biblici, proseguiti con fermezza una volta entrato nella Compagnia di Gesù, nel 1944. Docente sì, ma anche studioso appassionato, visitò i luoghi della Terra Santa con l’attenzione di chi concilia armoniosamente fede e interesse accademico. Sviluppando un legame profondo e prolifico con la città di Gerusalemme, stringendo amicizia con il rettore della locale Università ebraica, Shemaryahu Talmon. E con lui, da parigrado del Pontificio Istituto Biblico, avvia un progetto culturale destinato ad attraversare decenni di proficuo interscambio con il mondo ebraico per migliaia di studenti. Un’eredità culturale che, a otto anni dalla sua morte, rappresenta solo uno dei tanti lasciti di un uomo di fede che fece del dialogo e del confronto la strada maestra del suo percorso spirituale. E anche di vita.