“Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio”

«Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?»
«Cuius est imāgo haec et inscriptĭo?»

IX Settimana del Tempo Ordinario – Mc 12,13-17

In quel tempo, mandarono da Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso. Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?». Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio». E rimasero ammirati di lui.

Il commento di Massimiliano Zupi

Dopo la disputa sull’autorità di Gesù (Mc 11,27-33), l’oggetto di questa seconda controversia, che ha luogo sempre nel tempio durante il martedì santo, è il rapporto tra Dio e l’autorità politica. L’autorità politica, come il «mondo» nel Vangelo di Giovanni, segue il modo di pensare e di vivere secondo satana, che produce solo morte. Nel Vangelo di Marco è rappresentata emblematicamente da Erode: schiavo della propria sete di potere e di piacere, è giocato dal gioco a cui gioca; burattino i cui fili sono tirati dalla struttura e dalle dinamiche del potere di cui pure è a capo, finisce per uccidere il Battista contro la propria volontà (Mc 6,26). A quel macabro banchetto, la cui ultima portata è la testa mozzata del profeta (Mc 6,27-28), tragico simbolo del rifiuto della parola, dell’umanità stessa che consiste nel comunicare, si contrappone il banchetto di Gesù nel deserto, preparato all’opposto proprio dal suo insegnamento alle folle, parola largamente donata, e concluso con la condivisione di quel poco che si ha e si è, cinque pani e due pesci, capace tuttavia di sfamare tutti i presenti, più di cinquemila (Mc 6,34-44).

Il rapporto tra Gesù e l’autorità politica è asimmetrico. Da una parte, Gesù non la condanna: egli si occupa piuttosto della conversione dei singoli, della guarigione dei desideri di ciascuno, proponendo la bellezza del servizio e dell’umiltà, della povertà e
del nascondimento. Dall’altra parte, invece, l’autorità politica, in sintonia con quella religiosa, fin dall’inizio si sente minacciata: neonato, cerca di ucciderlo (Lc 2,13); adulto, lo appenderà infine ad una croce (Mc 15,15). Proprio lì, sulla croce, sarà affissa l’iscrizione: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei» (Gv 19,19). La croce infatti sarà la moneta del potere politico: il prezzo che esso esige, il guadagno che ottiene. Il Crocifisso è l’immagine di quella moneta: la morte dell’uomo, oltre che di Dio, è il costo da pagare. Al tempo stesso, però, la croce è anche la moneta di Dio: rivela il suo vero volto, amore che si dona incondizionatamente; manifesta il suo potere, che è di servire. Mirabile scambio: la moneta
falsa del mondo si trasforma in tesoro del regno (Mt 13,44).