Storia e missione della “Domus Galilaeae”

Un libro dedicato alla struttura sul Monte delle Beatitudini in Terra Santa, inaugurato nel 2000 da san Giovanni Paolo II. Un luogo di preghiera, di contatto con le Sacre Scritture e di dialogo col mondo ebraico e arabo che abita quella zona di Terra Santa

Definita “una delle cosa da vedere per chi si reca in Terra Santa” e “strumento e luogo privilegiato di dialogo”, a più di vent’anni dalla sua costruzione sulle pendici del Monte delle Beatitudini la Domus Galilaeae si è affermata come passaggio obbligato per i pellegrini di tutto il mondo ma anche meta di tanti visitatori ebraici (gruppi, famiglie e studiosi) che hanno trovato in quel luogo e nella comunità che ci abita un’accoglienza straordinaria e l’opportunità per un dialogo ricco e fecondo. Da anni la Domus è infatti un ponte tra ebraismo e cristianesimo. Le grandi tavole della legge di pietra, con incisi i dieci comandamenti scritti in ebraico e latino, che si ergono nell’atrio centrale mettono idealmente in collegamento il Sinai, monte del dono della Torah, con il Monte delle Beatitudini, luogo in cui Gesù di Nazareth pronunciò il suo sermone più importante.

A più di vent’anni dalla sua costruzione l’editore Chirico pubblica un libro dedicato alla storia, alla missione e al significato del Centro Internazionale Domus Galilaeae.

Basti la descrizione dell’ubicazione geografica con cui inizia il percorso del libro, per far rabbrividire il lettore: «La Domus Galilaeae sorge nella regione della Galilea sul Monte delle Beatitudini, vicino a Korazim e gode di una veduta del lago di Galilea particolarmente suggestiva, al di sopra di Tabgha (il luogo della prima moltiplicazione dei pani) e Cafarnao. Il complesso sorge proprio accanto alla strada che anticamente univa Korazim, situata sul monte, con Cafarnao, sulla riva del lago». Il centro si eleva a una altezza di 300 metri dal livello del lago e delle città di Cafarnao e Tabgha.

La struttura si sviluppa attorno ad un grande atrio che attinge la luce dalle numerose vetrate. Da qui si raggiunge un chiostro con una fontana circondato da un colonnato. Una Cappella con il grande affresco del Giudizio Universale e il Santuario della Parola sono i due cuori pulsanti della casa che conta con una sala congressi (capienza 300 persone), un grande refettorio e 100 camere disposte su vari livelli, tutte rivolte verso il lago. Ampio spazio è dedicato alla Biblioteca, sormontata da una cupola di vetro e presieduta da un grande rotolo della Torah – il libro dei libri – del 1600 dono dell’Arcivescovo André-Joseph Léonard al Cammino Neocatecumenale e proveniente dal nord Africa.

All’origine del progetto c’è il desiderio di Carmen Hernández (1930-2016), co-iniziatrice del Cammino Neocatecumenale, di creare un centro di spiritualità per sacerdoti e fedeli laici in Terra Santa. Il suo amore per Israele nacque in seguito ad un pellegrinaggio che compì assieme a una amica dal 1963 al 1964. A questo tempo di pellegrinaggio – compiuto nel pieno di una crisi vocazionale con l’obiettivo di approfondire le Sacre Scritture e camminare sulle orme di Gesù – è dedicato il recente libro di don Francesco Voltaggio e don Paolo Alfieri intitolato “Sono in te tutte le mie fonti. La serva di Dio Carmen Hernández in Terra Santa 1963-1964” (Chirico 2023) che raccoglie note, racconti, aneddoti e foto di quella storica esperienza.

Ma nulla sarebbe stato possibile senza la progettazione e l’attuazione di Kiko Argüello che ha messo tutto il suo genio artistico nel progetto con una cura particolare ad ogni minimo dettaglio: dall’aspetto architettonico a quello iconografico, fino alla scelta dei materiali, come conferma nella presentazione padre Rino Rossi, sacerdote missionario che ha diretto i lavori e gestito la casa fin dai primi anni: «Kiko ha sentito una chiamata da parte del Signore a mettere la sua arte a servizio della Chiesa. Come testimone dagli inizi, posso confermare che tutta la struttura, il disegno, la combinazione dei materiali, il rivestimento degli esterni, l’arredamento, il colore delle moquette, l’uso dei vetri che permettono di poter godere della natura circostante, tutti i minimi particolari sono stati oggetto dell’attenzione e del lavoro di Kiko, accompagnato da un’equipe di architetti» (p. 8). Coadiuvato da un’equipe di architetti e di pittori, Kiko ha seguito e diretto dunque la costruzione al fine di creare un luogo in cui la bellezza esprima accoglienza e inviti al raccoglimento dei pellegrini.

Un aspetto poco considerato, o forse poco conosciuto, è il motore che anima e concretizza la missione della struttura, il suo capitale umano. Ciò che fa della Domus un luogo vivo – e non un mero punto di ristoro e di riposo per i pellegrini – è la comunità cristiana che la abita. Fin dalle sue origini la Domus è stata retta dal servizio di volontari che hanno lasciato le loro case, il loro lavoro e le famiglie di origine, per dedicare corpo e anima a questa particolare missione. Famiglie intere (come quella del cuoco e della caposala, del responsabile della logistica) o singoli ragazzi o ragazze (più o meno giovani) hanno reso viva la struttura formando una vera e propria comunità cristiana che inizia la giornata con la preghiera delle lodi e la termina con la celebrazione della Santa Messa, condividendo i pasti ma anche le proprie battaglie personali e familiari. Alcuni di loro hanno dedicato anni, decenni, a questa missione, altri hanno partecipato per periodi più brevi “sacrificando” le proprie ferie o permessi speciali per mettere a servizio della Chiesa le proprie abilità professionali o semplicemente il proprio lavoro. E come non dimenticare tutti quei fedeli che hanno contribuito con le proprie donazioni alla costruzione e al mantenimento di questa grande opera?

Scritto da Paola Cesca, appartenente al Cammino Neocatecumenale della diocesi di Milano, insegnante di religione nella scuola pubblica e madre di otto figli, il libro è frutto di molti anni di lavoro e di ricerca. Il libro si presenta più come uno studio che come opera divulgativa, molte le citazioni delle fonti archeologiche, bibliche ed extrabibliche, dei padri della Chiesa di oriente e di occidente e del Magistero della Chiesa, così come di artisti, filosofi e iconografi che hanno affrontato il tema dell’estetica e della bellezza. Ma il testo – arricchito da un corposo dossier fotografico – riesce a far immergere il lettore nell’ambiente straordinario della regione di Galilea ed è – per chi ha visitato quei luoghi e quel luogo – un’occasione per un ricordo grato col desiderio di godere ancora di quella pace che la bellezza riesce a recare nel cuore.

Nell’affrontare il tema del rinnovamento estetico degli spazi celebrativi come strumento di evangelizzazione, così fortemente voluto da Kiko Argüello, il libro si sofferma sul tema dell’arte cristiana moderna con uno sguardo critico. La bellezza porta alla scoperta di Dio, artista e autore di ogni bellezza e bontà. Così affermava il teologo Hans Urs Von Balthasar nella sua grande opera “Gloria”. Per questo la bellezza delle Chiese e delle aule liturgiche eleva lo spirito, ha un’influenza sull’anima e aiuta ad entrare nella preghiera e nella contemplazione di Dio. La crisi dell’arte cristiana moderna è nota, e lo studioso Timothy Verdon – storico dell’arte specializzato in arte sacra cristiana – non ha risparmiato critiche alle “molte bruttissime chiese create nel trentennio dopo il Concilio” (p. 53). Kiko ha da sempre cercato di esprimere un nuovo linguaggio, sia nell’arte figurativa che nell’architettura, attingendo dal grande bagaglio artistico della chiesa (in particolare di quella orientale) senza però disprezzare le conquiste dell’arte contemporanea. Lo ha fatto nel contesto della riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II al fine di favorire le celebrazioni della comunità cristiana in preghiera.

La Provvidenza ha voluto che nella Domus si realizzasse il sogno di san Charles de Foucault la cui esperienza ha influito in maniera decisiva su Kiko nel suo percorso di conversione e nella sua scelta di andare a vivere ai piedi dei poveri. Il “fratello universale” trascorse tre anni della sua vita a Nazareth vivendo nel nascondimento e nel servizio dal 1897 al 1900. Nel 1900 espresse il desiderio di acquistare il terreno sul Monte delle Beatitudini, messo in vendita, per stabilirvi Gesù Sacramento: «…Io credo mio dovere sforzarmi di acquistare il luogo probabile del Monte delle Beatitudini, di assicurarne il possesso alla Chiesa cedendolo poi ai Francescani, e di sforzarmi di costruire un altare dove, in perpetuo, sia celebrata la messa ogni giorno, e resti presente Nostro Signore nel Tabernacolo…». Oggi una piccola cappella si affaccia sulla vista mozzafiato del Lago di Galilea (o di Korazym) dove è esposto il Santissimo Sacramento, presenza reale di colui che scelse quel lembo di terra rocciosa per compiere la missione del Padre: manifestare l’amore infinito del creatore ed offrire la possibilità di una Vita nuova.