La necessaria denuncia della “pace falsa”

Come ha scritto Norberto Bobbio, le radici più profonde del pacifismo etico, che si incarna nell’impegno di tutti gli uomini a costruire istituzioni di pace, mediante una collaborazione universale, «debbono essere cercate nell’ideale dell’“uomo nuovo”, un ideale che è entrato imperiosamente nella storia dell’Occidente col cristianesimo». Fondamentale, in vista della costruzione di istituzioni di pace, è peraltro il dialogo interreligioso ed ecumenico, come anche l’impegno sinergico delle molteplici associazioni e dei movimenti pacifisti sorti un po’ ovunque, quali espressione della società civile mondiale, prima responsabile della pace. Non si dimentichi che, a livello internazionale e sovranazionale, l’instaurazione e il mantenimento della pace esige, sempre più, la partecipazione di tutti alla costruzione di una vera e propria società politica mondiale, caratterizzata da una corrispondente autorità, costituita mediante un processo democratico universale, dal basso.

A livello internazionale e sovranazionale, quali espressioni di una comunità e di istituzioni sovranazionali che sempre più si rendono concretamente responsabili della realizzazione della pace mondiale, vanno segnalate, come modalità e vie non violente, le operazioni, compiute da vari eserciti attrezzati ad hoc, normalmente sotto l’egida dell’ONU, di peacekeeping, peace building, peace enforcing. Annunciando Gesù Cristo, l’Uomo Nuovo, l’Uomo non violento per eccellenza, e facendo vivere i credenti in comunione con Lui, in Lui e per Lui, il «ricapitolatore» di tutte le cose, la Chiesa si costituisce, connaturalmente, segno efficace e testimonianza profetica della pace e della nonviolenza. E ciò, per un’opera magnifica e grande, mai conclusa, che attraversa tutte le generazioni, sino alla fine dei tempi. Nel campo dei rapporti umani, la missione evangelizzatrice della Chiesa, si articola nell’annuncio del «Vangelo della pace e della nonviolenza», e, contemporaneamente, nella denuncia della pace falsa, della menzogna, dell’ingiustizia, dell’odio fratricida, delle guerre. L’annuncio ha il suo centro naturale nella proclamazione del «regno di Dio», alleanza riconciliatrice fra Dio e l’uomo, e di Gesù Cristo, Messia di pace e di nonviolenza.

Questo annuncio va sempre unito alla proclamazione dell’evento-Cristo, perché il regno di Dio, che trasforma i rapporti umani, tanto più si allarga quanto più il Signore, venuto per instaurarlo, è accolto (cf Rm 16). Gesù Cristo dilata i confini del Regno vincendo il peccato, fonte ultima delle violenze e delle guerre omicide, e riconducendo l’umanità all’obbedienza della Legge divina e alla pacificazione. È, quindi, parte integrante dell’annuncio del «Vangelo della pace e della nonviolenza», l’appello a ritornare a Dio, ad aprire le porte a Cristo, ad accogliere il dono messianico dello shalom, inteso come stato di bene-essere totale e pienezza di felicità che proviene da Dio. Come pure, ne è elemento essenziale la «rivelazione» che, nel piano della salvezza per ogni uomo, in Gesù Cristo è prefigurata un’esistenza di armonia con Dio e con i fratelli. Creato ad immagine somigliantissima di Dio Trinità, Amore e Comunione perfetti; redento da Gesù, l’uomo è vocato alla «profezia» di una storia che supera contrapposizioni radicali, discriminazioni di ogni tipo, odi e guerre fratricide, e viene «costruita» come un susseguirsi di rapporti e realizzazioni contrassegnati dalla verità, dalla giustizia, dalla solidarietà e dall’amore.

La «denuncia» della pace falsa, della menzogna e dell’ingiustizia palese, implica, invece, sia lo smascheramento della violenza, velata dietro le parvenze della legalità o della «ragion di Stato», sia la loro condanna pubblica. Passa attraverso l’individuazione e la segnalazione delle sue cause più profonde, specie quelle etiche. Per non rimanere sterile, a seconda dei casi si traduce in invito alla protesta; all’obiezione di coscienza, che può essere civica o militare, opportunamente riconosciute e regolamentate dalla legge; alla disobbedienza civile alle leggi ingiuste; alla non cooperazione con il potere costituito, qualora gravemente offensivo della dignità delle persone; alla «lotta per la giustizia»; alla creazione, se è il caso, di un contropotere e di istituzioni parallele; all’uso della coercizione non violenta, ossia senza impiego di mezzi di distruzione della vita degli uomini e delle cose; all’«ingerenza umanitaria» o,  meglio, alla responsabilità di proteggere  gruppi oppressi; alla difesa civile non violenta.

A fronte dei gravi problemi che stanno tragicamente manifestandosi oggi – basti pensare alla guerra in Ucraina – non basta per i credenti sostenere un pacifismo di testimonianza, che da solo non sarebbe in grado di far avanzare la causa della pace. Il pacifismo di semplice testimonianza rischia di coltivare il sogno di eliminare la guerra dal mondo senza distruggere il mondo della guerra. Occorre, invece, decisamente impegnarsi sulla via di una non violenza pacifica, attiva e creatrice. Ossia una via che non solo condanna la guerra, ma che costruisce alacremente la pace. È la via di un nuovo pacifismo, il cui slogan potrebbe essere espresso così: se vuoi la pace, prepara istituzioni di pace. Detto in altro modo ancora: si vis pacem, para civitatem. La guerra va sconfitta predisponendo, a livello spirituale, sociale, economico, politico ed istituzionale, tutto ciò che la previene o la rimuove. Cosa più in particolare?

La Dottrina sociale della Chiesa, specie con le encicliche dei pontefici, ma anche con i loro Messaggi per la giornata mondiale della Pace, ha indicato da tempo le vie da percorrere, quali: il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti, mediante la predisposizione di strumenti efficaci di difesa dell’aggredito; la radicale revisione delle regole del mercato globale delle armi (la Russia è il secondo esportatore al mondo di armamenti, dopo gli USA; il trattato sul commercio di armi convenzionali, mentre è stato ratificato dalla UE, non è stato firmato da USA, Russia e Cina); dare vita ad una Agenzia Internazionale per la Gestione degli Aiuti (AIGA), in cui far affluire, ad es., anche solo il 10% della spesa militare globale che in un decennio potrebbe sanare le attuali diseguaglianze strutturali; la revisione del trattato di non proliferazione nucleare; uno sviluppo integrale, sostenibile ed inclusivo; la creazione di istituzioni di pace, implicante la riforma dell’attuale ONU in senso più democratico, la revisione trasformazionale dell’assetto delle istituzioni politico-giuridiche nate a Bretton Woods nel 1944 (FMI, OMS, Banca Mondiale, WTO) e divenute obsolete; la creazione di nuove istituzioni – dotate di poteri mondiali – relative alle migrazioni (OMM), all’ambiente (OMA), all’acqua; l’universalizzazione di una democrazia partecipativa, rappresentativa, inclusiva, deliberativa.