Umbria, il crollo della roccaforte di Sinistra

La prima prova lo era per tutti, anche se per ragioni diverse: per il nuovo governo, quello della inedita coalizione giallorossa, del galleggiamento oltre la crisi, del “compromesso storico” fra Pd e M5s, si trattava di capire se e quanto gli elettori apprezzassero la soluzione trovata per arrivare a fine legislatura; per tutti gli altri, con Matteo Salvini e la Lega ad aprire la fila, la questione era dimostrare che la spallata data alla precedente esperienza di governo (di colore gialloverde) aveva ragion d'essere. E se l'obiettivo principale del Carroccio, di nuovo schierato con il Centrodestra, era darne un'altra di spallata, la storia dirà che lo ha centrato in pieno: Donatella Tesei, candidata delle forze di Cdx, non doppia ma quasi (attorno al 57%, numeri importanti) il rivale Vincenzo Bianconi, né M5s e né Pd, esponente dell'insolita e, conti alla mano, tuttora incompresa coalizione dem-pentastellati. Quello che voleva Salvini: strappare l'Umbria alla Sinistra, che di questa è stata la roccaforte fin dagli anni 70, quando Pietro Conti avviò l'egemonia (che sarebbe durata fino ai primi anni Novanta) del duo Pci-Psi. Trend mantenuto negli anni, quando la dissoluzione del Partito comunista (1991) non portò a stravolgimenti nel gradimento degli umbri, che si affidarono prima alla coalizione Pds-Psi, poi all'Ulivo, quindi alle coalizioni di Centrosinistra dei tempi nostri. Che ora, per quei partiti lì, sono tempi al passato, visto che i tabellini con le ultime proiezioni recitano impietosi un risultato attorno al 20% per i dem. 

Il crollo della roccaforte

Una bella gatta da pelare per le forze che compongono la discussa maggioranza attualmente alla guida del Paese. Perché, a ben vedere, il banco di prova non era solo per il nuovo governo in sé ma anche (anzi, soprattutto) per i vari tasselli che l'hanno messo in piedi. Movimento 5 stelle in primis (fermo all'8,5%), con Luigi Di Maio che ha rischiato l'asse della nuova maggioranza presentandosi con il Pd (e mettendo simbolicamente sul piatto la sua leadership, perlomeno per coloro che non erano d'accordo a questa intesa), soprattutto per dare credibilità a un'esperienza d'esecutivo “che deve continuare”, come aveva chiarito Franceschini nel pre-voto. E che ha perso, di nuovo, senza riuscire a sfatare il recente tabù delle Regionali nemmeno con il supporto dei nuovi alleati. I segnali per non fare bene, però, c'erano un po' tutti, a cominciare da come era finito il precedente governatorato regionale a guida Catiuscia Marini, dimessasi anzitempo per questioni extra-politiche. Poi tutte le avvisaglie a livello locale, che hanno certificato il progressivo sfaldamento della roccaforte di sinistra che aveva tenuto le redini dell'Umbria per quarant'anni e oltre: via Perugia dalle mani del Csx nel 2014, con l'inizio di un'esperienza (bissata) di Forza Italia alla guida del Comune; poi anche Terni salta, anche se più di recente (2018), finendo nelle mani del candidato leghista Leonardo Latini, riacquistando una leadership con coalizione di Centrodestra che mancava dai primi anni Novanta. E poi anche la voglia di voto mostrata dagli Umbri, con la percentuale dell'affluenza che schizza alle stelle (+13% rispetto a quattro anni fa, forse anche di più) mostrando una certa tendenza da parte dei cittadini a voler dire la loro, sia sul nuovo governo che rispetto agli incitamenti di Salvini subito dopo la fine della crisi. Un trend che, i risultati lo hanno confermato, non si è rivelato ben augurante per l'esecutivo.

Cosa si rischia

Per quanto piccola, l'Umbria che vota apre parecchi scenari. Anzi, prepara il terreno al futuro che verrà, durante il quale il governo dovrà prendere atto della sconfitta e capire cosa non ha funzionato, se l'antitesi di fondo alla base delle due forze portanti della maggioranza o l'opera fatta finora per convincere gli italiani che non andare al voto sia stata la scelta giusta. Dovrà capirlo in fretta la maggioranza, perché i banchi di prova potrebbero essere più veloci: Calabria e Campania ma anche e soprattutto l'altra regione rossa, l'Emilia-Romagna, con le urne che dovrebbero aprirsi il 26 gennaio prossimo. Salvini vuole prendersi anche quella, e sarebbe il successo probabilmente più importante. Non che l'Umbria non abbia peso, anzi, ma è solo la prima prova. Al momento, la coalizione si riserva di proseguire con l'obiettivo di far sì che l'alleanza regga e questo per una serie di motivi: perché, ad esempio, i trascorsi recenti in Regione ponevano il Pd in una posizione di svantaggio. Quindi non starci troppo a pensare e ripartire con l'augurio di far meglio al prossimo step. Difficile forse, considerando i numeri su cui viaggia la Lega, che stacca di netto gli alleati di Centrodestra andando a ballare attorno alla soglia del 40% (37,5%, con Forza Italia che subisce il sorpasso sostanzioso di Fratelli d'Italia) in una regione nota per la sua lunghissima appartenenza rossa. Salvini parla di “un risultato storico” e con la neo-presidente al fianco ironizza sul mancato voto nel dopo-crisi: “E' una festa della democrazia. Almeno gli umbri hanno potuto votare“. Da Perugia, il leader del Carroccio ribadisce la leadership della Lega, non solo all'interno della coalizione, come “primo partito in Italia”, affermando come dai seggi “arrivano dati incredibili”. Qualcuno, come l'ex presidente dell'Europarlamento Tajani, guarda già oltre, parlando di come “gli italiani vogliano un governo di Centrodestra”. L'Umbria ha dato il là, le nuove prove serviranno per capire se è vero.