Covid-19: la comunità scientifica pensa a cosa accadrà in autunno

Alla luce di quanto è avvenuto nel corso della 5° ondata in Italia, si sottolinea l’importanza che rivestono i test antigenici rapidi che mettono in evidenza componenti antigenici della nucleoproteina e per questo sono meno soggetti all’influenza delle varianti, che come è noto hanno mutazioni a livello dello spike. Inoltre, rispetto ai test antigenici di prima generazione, c’è stato un aumento della sensibilità dei test antigenici rapidi attualmente disponibili che, pur senza raggiungere quella dei test molecolari (che continuano ad essere il “gold standard” diagnostico), permettono, in tempi brevi ed in modo semplice ed efficace, di effettuare un numero notevole di determinazioni così da ottenere un valido controllo epidemiologico con tracciamento dei contatti, diagnosi delle infezioni e termine dell’isolamento.

A dimostrazione del successo e dell’efficacia dei test rapidi, si segnala che in Italia la stragrande maggioranza delle determinazioni delle diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 viene attualmente effettuata con test antigenici rapidi (70-80%). La diffusione dei test cosiddetti “fai da te” rappresenta anch’essa un’importante innovazione, ma al tempo stesso, può costituire una criticità, perché un certo numero di persone positive non dichiara questo status alla ASL e così si preclude la possibilità di sottoporsi a terapia antivirale o con monoclonali. In questa particolare fase della pandemia, in cui è stato deciso di allargare da parte di EMA ed AIFA la platea dei vaccinati offrendo la quarta dose anche a chi ha oltre 60 anni con l’intento di migliorare la risposta immunitaria protettiva, si inizia a dibattere nella comunità scientifica cosa avverrà in autunno ed in particolare sul ruolo che potrà avere un vaccino aggiornato per Omicron in chi in passato è stato vaccinato o infettato da SARS-CoV-2.

Si discute sul valore che riveste il primo incontro (imprinting) del sistema immunitario con lo spike di SARS-CoV-2 sia nella forma di vaccino che di infezione e quanto questo iniziale incontro possa essere rilevante nel causare quel fenomeno noto in immunologia come original sin o peccato originale, descritto nel 1960 da T. Francis. Questo fenomeno immunologico, che alcuni preferiscono definire come imprinting immunologico piuttosto che peccato originale, potrebbe verificarsi anche per SARS-CoV-2, così come è stato osservato in passato per l’influenza, il virus Dengue e i rotavirus. Dal punto di vista pratico, il sistema immunitario che ha ricevuto l’imprinting dall’infezione di SARS-CoV-2 o con il vaccino o con entrambi, se stimolato da un nuovo vaccino, in questo caso adattato ad Omicron, potrebbe privilegiare l’iniziale risposta verso lo spike presente nel primo vaccino o nel virus della pregressa infezione e quindi determinare una risposta più debole nei confronti del vaccino aggiornato.

Uno studio condotto in 700 operatori sanitari del Regno Unito ha evidenziato che l’infezione con Omicron ha un effetto modesto o nessun effetto nello stimolare il sistema immunitario, sia umorale che cellulare, nei soggetti che avevano avuto l’imprinting immunologico dalle precedenti varianti. La conclusione quindi a cui giungono gli autori della ricerca è che l’infezione con Omicron non può essere considerata un efficace richiamo naturale dell’immunità protettiva vaccinale. Va altresì ricordato, sempre su questo aspetto, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) si è recentemente espressa dichiarando che i vaccini basati su Omicron possono essere molto efficaci nello stimolare l’immunità, dal momento che ampliano la risposta immunitaria anche nei confronti delle differenti varianti virali. Il comitato scientifico della statunitense Food and Drug Administration (FDA) ha votato a favore di incorporare il materiale genetico di Omicron nel nuovo vaccino ed in particolare quello delle sotto varianti Omicron 4 e 5 per allestire i vaccini che saranno disponibili in autunno. Al momento, non esiste una risposta univoca sull’efficacia dei vaccini aggiornati e sull’eventuale effetto dell’original sin e pertanto il problema resta ancora aperto. In ogni caso è importante che si continui la ricerca scientifica in questo campo al fine di chiarire meglio il fenomeno e l’eventuale suo ruolo nell’infezione da SARS-CoV-2.

L’emergenza delle sotto varianti Omicron 4 e 5 in Sud Africa, è stato oggetto di uno studio condotto attraverso l’identificazione e la caratterizzazione delle mutazioni e delle delezioni presenti in queste sotto varianti che si sono rese responsabili della quinta ondata di infezioni, non solo in questo paese, ma in tutto il mondo. In particolare, la delezione 69-70 nello spike permette di identificarle dal punto di vista diagnostico mediante la mancata rilevazione del gene S nel tampone. Inoltre, in Sud Africa, Omicron 4 e 5 si sono diffuse con estrema facilità ed hanno raggiunto il 50% dei casi isolati già nella prima settimana di aprile 2022. Per spiegare questa rapida crescita, si è utilizzato un modello di regressione logistica multi nominale, che ha stimato che il vantaggio di crescita di Omicron 4 e 5 è rispettivamente pari a 0,08% e 0,10% al giorno nei confronti di Omicron 2. La continua scoperta di forme geneticamente diverse di Omicron suggerisce l’importanza del potenziale reservoir rappresentato dall’instaurarsi di un’infezione cronica in soggetti immunodepressi o in animali, entrambe situazioni particolari che possono rappresentare altrettante occasioni per lo sviluppo di mutazioni e quindi di nuove varianti.