Sgominato il clan degli scafisti

Quattordici fermi, su ordine della Dda di Palermo, sono stati disposti nei confronti di altrettante persone  – fra italiani e tunisini – che gestivano i viaggi della speranza fra la Tunisia e la Sicilia. La banda reclutava i profughi e raccoglieva grosse somme di denaro per la traversata: fino a 3.000 euro.

L'organizzazione

L'organizzazione rubava natanti e motori, già usati per i viaggi verso l'Italia e sequestrati dalla Finanza, e acquistava tabacchi di contrabbando che poi portava in Sicilia e rivendeva grazie alla rete di distribuzione che aveva nei mercati rionali palermitani. La banda usava gommoni carenati, dotati di potenti motori fuoribordo, con i quali era in grado di coprire il tratto di mare che separa le due sponde del Mediterraneo in poche ore, trasportando, per ciascuna traversata, dai 10 ai 15 persone. Il business aveva portato enormi guadagni reinvestiti, tra l'altro, in una azienda agricola di Marsala, in un cantiere nautico di Mazara del Vallo e in un ristorante.

Modus operandi

Secondo gli inquirenti, l'organizzazione era in grado di cambiare rotte e modalità dei viaggi sfruttando la vicinanza dell'isola di Lampedusa alle coste tunisine, la disponibilità di due pescherecci italiani – particolarmente attivi sul tratto di mare che separa l'isola italiana dalla costa africana – e grazie alla complicità di italiani in grado di eludere i controlli delle forze dell'ordine e far allontanare dalla costa i profughi una volta sbarcati. L'inchiesta è stata coordinata dall'aggiunto Marzia Sabella e dal pm Gery Ferrara.