VATILEAKS 2, LA SENTENZA: CONDANNATI VALLEJO E CHAOUQUI

E’ giunta la sentenza del tribunale d’Oltretevere per il caso Vatileaks 2, sulla fuga dei documenti riservati della Santa Sede. Condannati monsignor Lucio Vallejo Balda e Francesca Immacolata Chaouqui, mentre Nicola Maio è stato assolto. Per i due giornalisti Nuzzi e Fittilpadi vige il “difetto di giurisdizione”.

Dopo quasi 5 ore e mezza di camera di consiglio, il giudice vaticano ha pronunciato la sentenza: “Per i giornalisti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, il Tribunale ha riconosciuto la propria non competenza territoriale; mons. Lucio Vallejo Balda, Francesca Chaouqui e Nicola Maio sono stati assolti dal reato associativo. Maio anche dal reato di divulgazione di documenti”. Per quest’ultimo reato, Vallejo ha avuto invece 18 mesi di reclusione, la Chaouqui 10 mesi con pena sospesa.

Al termine del processo, riconoscendo la propria non competenza territoriale a giudicare sui giornalisti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, il Tribunale presieduto da Giuseppe Dalla Torre ha esplicitamente affermato la “sussistenza, radicata e garantita dal diritto divino, della libertà di manifestazione del pensiero e della libertà di stampa nell’ordinamento giuridico vaticano”.

Poche ore dopo la sentenza, come riporta il quotidiano La Stampa, il portavoce della Santa Sede, Padre Federico Lombardi, ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Si doveva fare. Perché c’è una Legge, per di più una Legge recente (2013) e promulgata per contrastare le fughe di notizie. Negli anni recenti è stato sviluppato il sistema giuridico e penale vaticano per renderlo più completo e metterlo all’altezza delle esigenze odierne di contrasto dell’illegalità in diversi campi. Non si possono dichiarare intenzioni e stabilire norme e non essere coerenti nel metterle in pratica, perseguendo chi non osserva le leggi”.

“Si doveva fare, per dimostrare la volontà di combattere con decisione le manifestazioni e le conseguenze scorrette delle tensioni e polemiche interne vaticane – prosegue il portavoce vaticano -, che da un certo tempo si riflettono troppo frequentemente anche all’esterno tramite indiscrezioni o filtrazioni di documenti ai media, creando un circolo e un contesto ambiguo e negativo di interazioni fra discussioni interne e rilanci esterni tramite le comunicazioni sociali, con conseguenze negative anche nell’opinione pubblica, che ha diritto a una informazione obiettiva e serena. Questa è una ‘malattia’, come direbbe Papa Francesco, da combattere con determinazione”.

“Per conoscere e valutare i diversi aspetti di questa situazione era giusto affrontare coraggiosamente anche la dimensione del ruolo e della responsabilità effettiva o meno dei giornalisti nella vicenda, nonostante le prevedibili polemiche a proposito della tutela della libertà di stampa. Questa va certamente tutelata, ma la professione giornalistica può avere anch’essa dei limiti da rispettare se vi sono in concorrenza altri beni importanti da tutelare, ed è giusto verificare se questo è avvenuto o no – continua -. Come è stato ribadito più volte, questo non era in alcun modo un processo contro la libertà di stampa. Anche Benedetto XVI, pur non essendovi ancora la legge attuale, aveva ritenuto giusto che la giustizia “umana” facesse il suo corso nei confronti del suo maggiordomo fino alla sentenza. Analogamente ora, anche se la responsabilità della divulgazione risaliva chiaramente a un ecclesiastico importante, non sarebbe stato giusto usare per questo motivo un trattamento diverso”.

“Il processo si è fatto con la piena volontà di rispettare le leggi e procedure previste, le esigenze del diritto e della difesa degli imputati. Con giudici e avvocati competenti e con dibattimento pubblico trasparente. Sono state ascoltate testimonianze assai autorevoli, come quella più volte ricordata – nel dibattimento e fuori – del Dr Paolo Mieli. Il tempo complessivo del processo è stato contenuto, anzi breve, se si tiene anche conto dei circa due mesi impiegati per la perizia informatica che era stata richiesta dalla difesa. La sentenza è stata formulata dal Collegio giudicante in piena autonomia, con atteggiamento di giustizia e di clemenza insieme, secondo lo spirito del rinnovamento della legislazione penale voluto da Paolo VI nel 1969. Come tutti coloro che hanno seguito il processo hanno facilmente compreso, il dibattimento ha avuto un ruolo fondamentale nella formazione del giudizio del Collegio, che non si è mosso sulla base di posizioni preconcette, giungendo infine a sentenze di assoluzione di cui non ci si può che rallegrare”.

“Le motivazioni della sentenza verranno depositate nelle prossime settimane e potranno essere conosciute. Vi sono ora tre giorni di tempo perché gli imputati possano proporre appello. Ci si augura che – conclude il direttore della Sala Stampa -, nonostante la tristezza che ogni reato e la conseguente vicenda processuale necessariamente causano, se ne possano trarre le conclusioni e le riflessioni utili per prevenire in futuro il ripetersi di situazioni e vicende simili”.

La vicenda ebbe inizio a fine ottobre 2015, quando le autorità vaticane arrestarono mons. Lucio Angel Vallejo Balda, segretario della Commissione di studio sulle attività economiche e amministrative (Cosea) e Francesca Immacolata Chaouqui, pr italiana di 33 anni, già componente della Cosea con un ruolo di consulenza. L’accusa, oggi come allora, fu quella di fuga di documenti riservati. Sul tema delle carte trafugate, l’ipotesi più accreditata è che abbiano a che fare con le finanze della Santa Sede, mentre i complottisti affermano che dietro al gesto vi sia la volontà di colpire Papa Bergoglio. Di tutto ciò si sarebbero occupati due libri usciti nel novembre dello stesso anno e che sarebbero stati scritti sulla base degli ultimi documenti rubati: “Via Crucis” di Gianluigi Nuzzi, e “Avarizia” del giornalista dell’Espresso Emiliano Fittipaldi.

Dopo pochi giorni venne confermata la notizia di una violazione del computer del Revisore Generale della Santa Sede, Libero Milone. Il manager è stato scelto nel giugno dellos corso anno scorso da Papa Francesco con il compito di supervisione e controllo sui conti e i bilanci di tutti gli organismi, gli uffici e le istituzioni del Vaticano. Il 2 novembre, il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ha spiegato che “nel quadro di indagini di polizia giudiziaria svolte dalla Gendarmeria vaticana e avviate da alcuni mesi a proposito di sottrazione e divulgazione di notizie e documenti riservati, sabato e domenica scorsi sono state convocate due persone per essere interrogate sulla base degli elementi raccolti e delle evidenze raggiunte”. Dopo la convalida dell’arresto, Francesca Immacolata Chaouqui è stata rimessa in stato di libertà perché collaborativa. Il monsignore, al contrario, è rimasto in stato di arresto. Papa Francesco è stato informato del provvedimento e ha dato la sua approvazione.

Monsignor Balda, spagnolo, 54 anni, appartenente all’Opus Dei e segretario della Prefettuta per gli Affari economici, aveva personalmente segnalato la Chaouqui per l’assunzione come consulente presso la Cosea. Balda e Chaoqui, secondo l’inchiesta condotta dalla magistratura vaticana, sarebbero i presunti “corvi”, che avrebbero fornito il materiale documentale per la stesura di “Via Crucis” e “Avarizia”. La Santa Sede, in preparazione alla divulgazione dei libri dei due giornalisti italiani Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, da subito affermò con una Nota ufficiale che erano “frutto di un grave tradimento della fiducia accordata dal Papa”. Si leggeva: “Quanto ai libri annunciati per i prossimi giorni va detto chiaramente che anche questa volta, come già in passato, sono frutto di un grave tradimento della fiducia accordata dal Papa e, per quanto riguarda gli autori, di una operazione per trarre vantaggio da un atto gravemente illecito di consegna di documentazione riservata, operazione i cui risvolti giuridici ed eventualmente penali sono oggetto di riflessione da parte dell’Ufficio del Promotore in vista di eventuali ulteriori provvedimenti, ricorrendo, se del caso, alla cooperazione internazionale”.