CASO CESTE, LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA: “BUONINCONTI HA AGITO CON FREDDEZZA STRAORDINARIA”

Ha pianificato tutto con cura e ha agito con “freddezza straordinaria”. Il giorno in cui uccise la moglie, però, Michele Buoninconti commise “un errore”: compose ripetutamente il numero di telefono della donna nel tentativo di rintracciare l’apparecchio, che temeva fosse stato smarrito. L’analisi delle celle, così, ha permesso agli investigatori di ricostruire il percorso seguito dall’uomo per nascondere il cadavere della povera Elena Ceste.

E’ quanto si afferma in uno dei passaggi della sentenza con cui, a novembre, il gup Roberto Amerio, del tribunale di Asti, ha condannato il vigile del fuoco di Costigliole a 30 anni di carcere. Quello delle telefonate non è l’unico elemento che ha portato il giudice a ritenere Buoninconti colpevole di uxoricidio. E’ un “processo indiziario”, è vero, ma la “prova logica” – scrive Amerio – non ha meno valore della “prova diretta” quando è raggiunta “con rigorosità metodologica”. La conclusione è che “la pluralità degli indizi” indica “nell’imputato il soggetto autore dei gravi reati” di cui è accusato.

Buoninconti si è sempre professato innocente ma ha fornito “tante versioni contraddittorie, menzognere e depistanti”, preferendo – in aula – citare la Bibbia invece di scegliere “una difesa ancorata ai dati processuali”. Il vigile del fuoco, secondo la sentenza, uccise la moglie il 24 gennaio 2014 per poi nasconderne il corpo (che fu ritrovato solo il 18 ottobre successivo) in un rio a due km da casa. Un delitto che – dice il giudice – ha avuto una “lunga incubazione”. Michele lo aveva meditato fin dall’autunno del 2013 perché non sopportava che Elena volesse “evadere” dalla routine familiare e coltivasse delle amicizie. La donna, quando il marito era assente, faceva delle telefonate: “Era come – si legge – se solo allora uscisse dal bozzolo che il ruolo di madre e moglie sottomessa le aveva imposto”. Poi, però, Michele “aveva soprasseduto”. Sperava di “redimerla”.

Fino al 21 gennaio, quando vide per caso i messaggi mandati dalla moglie a un amico. Attese la mattina del 24, quando non era di servizio, ed entrò in azione. Non c’è la “certezza scientifica” di come l’abbia uccisa. Il giudice, comunque, fa presente che “il mancato rinvenimento di tracce ematiche sulla scena del delitto e sulle auto in uso alla famiglia, oltre all’assenza di veleni e/o farmaci sul parenchima epatico, orientino per un omicidio commesso per strangolamento”. La sentenza non è definitiva e con ogni probabilità, dopo il prevedibile ricorso di Buoninconti, dovrà passare al setaccio della Corte d’appello di Torino.