25 Aprile: memoria e dovere della storia d’Italia (AUDIO)

"Una festa che dovrebbe unire e non dividere" per Interris.it la testimonianza del Professore Massimono Bianchi dell'Università di Siena

Le celebrazioni per il 75° anniversario della Festa della Liberazione del 2020 saranno ricordate come quelle caratterizzate dall’emergenza Covid-19. Quest’anno non ci saranno particolari funzioni e riti di omaggio per ricordare i caduti in guerra, eppure il 25 aprile rimane sempre “per gli anziani un’occasione per ricordare, mentre per i giovani un’occasione per imparare”. Ma cosa rappresenta effettivamente oggi la Festa della Liberazione? Interris.it lo ha chiesto al Professor Massimo Bianchi, docente di Storia dei Rapporti fra Stato e Chiesa del Dipartimento di Scienze Politiche e Internazionali dell’Università di Siena.

“Il 25 aprile nel calendario civile e nella memoria laica, popolare e democratica degli italiani è ancora oggi una data fondativa della nostra identità repubblicana al pari di altre date significative, ma direi ancora di più di altre date importanti. La data fu scelta a Liberazione avvenuta: era il giorno del proclama di insurrezione, non quello della liberazione effettiva che era invece il 28 con la resa dei conti e la fucilazione dei gerarchi. Questo perché sarebbe forse risultata una scelta più sgradevole agli italiani che a lungo si erano identificati in quegli uomini e che avevano invece bisogno di metabolizzare e archiviare l’intera esperienza fascista. Il 25 aprile si affermò subito come la festa più popolare e partecipata, superando anche il 2 giugno che era forse di importanza addirittura superiore, ma fu sempre una giornata di grandi manifestazioni di massa in tutte le città italiane, anche se – lo sappiamo bene – non condivisa da tutti e interpretata in maniera diversa dalle forze politiche e dalle culture che nella Liberazione si riconoscevano”.

Cosa si festeggia e qual è l’attualità di far memoria di questa data?
“Si festeggia direi la fine di una guerra difficile e dura, la liberazione dal dominio nazista e dalla dittatura fascista. É una giornata di festa nazionale che dovrebbe unire e non dividere, anche perché legata alla commemorazione di un fatto storico che ha interessato tutti gli italiani. Eppure ogni anno sembra necessario ribadirlo. Occorre comprendere che non siamo di fronte a una festa a tema libero e senza filo conduttore, non è un confronto tra due parti: chi lo dice offende la storia e dimostra di negarla o di non conoscerla e soprattutto offende la memoria di chi si è battuto per la libertà e per le istituzioni della Repubblica che nacquero dalla Resistenza. Per gli anziani è occasione di ricordare, per i giovani è occasione per imparare”.

Qual è stato l’apporto cattolico alla liberazione del 25 aprile?
“Vi fu un forte apporto cattolico alla liberazione e alla Resistenza. Molti iscritti e responsabili dell’Azione Cattolica Italiana parteciparono in vario modo alla Resistenza. Il fascismo avrebbe voluto che i cattolici restassero in un certo modo nascosti e chiusi nelle sacrestie ma il contributo che essi portarono fu quello di un distacco assoluto dal fascismo, di una resistenza passiva che, pur non obbligando nessuno a esporsi a rappresaglie di vario genere, rappresentò un terreno di confronto perdente per il regime. Consideriamo che negli anni Trenta, all’indomani della Conciliazione del 1929, gli episodi di antifascismo erano limitati anche se significativi e diventarono sempre più marcati ed evidenti dopo le leggi razziali del 1938, l’entrata in guerra del 1940, la disastrosa campagna di Russia del biennio 1941-1943. Dopo l’armistizio dell’8 settembre il rifiuto da parte dei cattolici del nazifascismo di diffuse sempre più. La Resistenza del resto non è solo fatta dagli aspetti militari. Molti cattolici aderiscono ai gruppi partigiani, aiutano chi si trova nella condizione di clandestinità, già lavorano per la costruzione del dopo, dei partiti politici, in particolar modo della Democrazia cristiana e dei sindacati. Troviamo cattolici nelle fila del CLN nazionale e locali, progettano le future amministrazioni territoriali. Non vanno dimenticati i molti sacerdoti che morirono durante la deportazione e le religiose che pregavano e in molti casi anche operavano attivamente in favore di chi era perseguitato o lottava per la libertà. Molte donne cattoliche aiutavano nella resistenza distribuendo stampa clandestina e aiuti vari, assistenza ai carcerati. Senza dimenticare la grande opera di soccorso verso gli ebrei dove l’organizzazione capillare della Chiesa fu determinante per salvare molte vite umane. Vi è poi direi un contributo spirituale alla Resistenza con i militanti fedeli al vangelo e al magistero ecclesiale dal quale prende origine e forma l’impegno sociale e politico di molti cattolici”.

La liberazione per noi è ormai un evento storico o è ancora parte del ‘passato più recente’ del nostro popolo? C’è ancora bisogno di rielaborazione per raccontarla?
“La risposta è molto semplice. Di sicuro c’è il bisogno di raccontarla ancora. Lo vediamo da un dato che ogni anno torna alla ribalta, quasi una sorta di “allergia” per alcuni, con la richiesta di trasformare la celebrazione del 25 aprile in una sorta di qualcosa di diverso. Gli appelli alla concordia nazionale, presenti in tutti i discorsi del 25 aprile di ogni anno dal 1945 a oggi, hanno dovuto assumere significati sempre diversi in base alle sensibilità culturali del momento e dovevano contribuire a superare i contrasti emergenti. Oggi la parte esteriore della festa della Liberazione non è più messa in discussione e il rischio semmai è quello di banalizzarla o ridurla a improvvisazioni estemporanee senza alcun riferimento storico”.

Perché sono feste talvolta ancora accompagnate da polemiche politiche?
“Credo che sia stato quasi sempre così. Le celebrazioni dei primi anni, data anche la vicinanza temporale ai fatti della Liberazione, risentivano della necessità di avvicinare poli molto diversi in una sorta di “rieducazione” per chi proveniva dal mondo fascista e si spiegano così forse le feste in tono minore degli anni Cinquanta. Poi, dopo il primo decennale del 1955, le cose cambiano e si evolvono radicalmente con iniziative unitarie delle forze partigiane e la ricorrenza entra nelle scuole con lezioni sull’antifascismo italiano e la Resistenza diventa l’evento fondatore della Repubblica e punto di partenza per la crescita democratica e sociale del Paese, mentre negli anni Settanta e Ottanta emerge netta la presenza di due memorie divise e conflittuali che si cerca di far conoscere e riconciliarsi a vicenda ma che difficilmente avrebbero potuto convergere in una memoria unica. Negli anni della cosiddetta “seconda repubblica” si noterà poi l’ansia di offrire una legittimazione storica alla nuova destra alla quale porrà fine il presidente Sergio Mattarella con un forte e nitido richiamo alla Costituzione antifascista”.

Oggi in piena emergenza pandemia ha un significato ancora più forte ricordare il 25 Aprile?
“Non vedo perché no. Anche oggi come allora siamo alla fine di una guerra: ci sarà un nuovo inizio e ci sarà bisogno di tanto entusiasmo per ripartire. Ecco quindi che approfondire determinati temi e ricordare le basi della nostra storia recente e repubblicana è per noi che viviamo questo tempo memoria e dovere al tempo stesso. Settantacinque anni fa la liberazione dai nazifascisti fu un evento enorme dove contò molto la Resistenza. Noi eravamo un popolo che aveva la Resistenza nel proprio dna. Eravamo quelli che avevano inventato il fascismo ma anche quelli che avevano poi inventato la lotta al fascismo e la resistenza del popolo per riparare a quei torti. Guai a quei popoli che avendo una dittatura non hanno anche una Resistenza. Oggi anche noi abbiamo avuto la nostra forma di resistenza da compiere nei confronti del virus e della pandemia ma l’autocontrollo e il senso di responsabilità che abbiamo dimostrato ci conferma che il carattere del popolo italiano è sempre lo stesso: resistente e combattente. Mi permetta una battuta conclusiva. Ho letto in questi giorni di una proposta di fare del 25 aprile una celebrazione dei morti a causa del Covid. Guardi, i morti sono una cosa seria ma sapremo come celebrarli e ricordarli, dai medici, agli infermieri, agli operatori sanitari, ai volontari, ai sacerdoti, agli anziani che sono stati i principali colpiti da questa tragedia: nessuno di loro, proprio per il rispetto che gli dobbiamo, merita di essere trascinato in nessuna polemica“.