NEL GIRONE INFERNALE DELLE CARCERI BRASILIANE

Ci troviamo a João Pessoa, città del nordest brasiliano con circa 800.000 abitanti. Fondata nel 1585 con il nome di Filipéia de Nossa Senhora das Neves, è nota come la terza città più antica di tutto il Brasile. La Comunità Papa Giovanni XXIII è presente in questa regione da circa 20 anni e da circa 14 è impegnata con i carcerati a servizio della Diocesi locale, con la modalità prevista dalla Legge delle Esecuzioni Penali: l’articolo 24 prevede che “ogni detenuto ha il diritto all’assistenza religiosa” e “gli è permesso partecipare a momenti organizzati per le celebrazioni”. Questa modalità ci dà il modo di entrare in tutte le carceri essendo iscritti come “Agenti pastorali della diocesi” nella Segreteria di Amministrazione Penitenziaria. La Pastorale Carceraria è una presenza della Chiesa in mezzo a fratelli e sorelle in carcere, i più poveri fra i poveri perché privati della loro libertà, portando a essi la parola di Dio e una presenza di appoggio fraterno. L’apparato penitenziario brasiliano è stato fortemente criticato in una relazione dell’Onu, mentre Papa Francesco ha rinnovato il suo appello affinché gli “istituti penitenziari siano luoghi di rieducazione e di reinserimento sociale e le condizioni di vita dei detenuti siano degne di persone umane”.

Quarti al mondo

Il Brasile, secondo una ricerca del ministero di Giustizia brasiliano, ha il quarto maggior numero di detenuti al mondo, raggiungendo 622.202 detenuti, dietro appena a Russia con 681.000, Cina 1.640.000 e Stati Uniti 2.239.751. Considerando la percentuale sugli abitanti, il Brasile si porterebbe al sesto posto con 306,2 detenuti per 100.000 abitanti, dietro a Ruanda, Russia, Thailandia, Cuba e Usa. Il sistema mostra alti tassi di sovraffollamento: i 622.202 detenuti nel paese sono costretti a vivere in strutture fatiscenti, dominate da bande da nord a sud, abbandonati a se stessi. In tale scenario, dove la presenza dello Stato continua a perdere terreno per via di gruppi come Comando Vermelho (Comando Rosso), Pcc (Primo Comando della Capitale) e della Fdn (Famiglia Del Nord), gli omicidi e le ribellioni sono frequenti all’interno delle carceri, dove regnano sofferenza e barbarie. Il massacro con 56 morti nel Complesso Penitenziario Anísio Jobim (Compaj) a Manaus, dei 33 della Penitenziaria Monte Cristo di Roraima e dei 26 del Carcere di Alcaçus a Natal nel Rio Grande do Norte nel gennaio 2017, sono capitoli della storia di una bomba che le autorità brasiliane si ostinano a non voler disinnescare. La società classifica il detenuto come una scoria umana – “era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima” (Is 53,3) –, senza alcun diritto, perché se si trova in carcere vuol dire che non vale niente e che dev’essere privato di ogni diritto. I mezzi di comunicazione contribuiscono a distorcere la realtà con una visione sensazionalistica nei programmi televisivi di cronaca. Invece la realtà è purtroppo un’altra: in un Paese dove si deteriorano le opportunità socio-economiche e morali, molti dei nostri fratelli sono costretti a vivere nella criminalità senza aver avuto il modo di scegliere una vita differente, aumentando giorno dopo giorno il tasso di violenza, con circa 170 omicidi quotidiani.

Peggio della Siria

Per fare un esempio, dal 2011 al 2015 ci sono stati 278.839 assassinati contro i 256.124 morti dovuti alla guerra in Siria nello stesso periodo: purtroppo è in atto una guerra silenziosa e se ne parla poco. Il 67% dei detenuti in Brasile sono di classe sociale bassa, di colore e con alto indice di analfabetismo, provenienti nella maggioranza dei casi dalle zone periferiche cittadine, le cosiddette “favelas”. Nella città di João Pessoa, secondo la Segreteria di Amministrazione Penitenziaria, ci sono 5.576 detenuti/e, il 56% giovani con età dai 18 ai 29 anni, il 40% in situazione provvisoria senza alcuna assistenza. Una politica sulla droga sicuramente da rivedere contribuisce a riempire con maggior frequenza le carceri per semplici detenzioni di piccole quantità di stupefacenti, invece di dare un’alternativa per potersi recuperare visto che nella maggior parte dei casi sono giovani tossicodipendenti. Quando si parla di detenuti, la società è portata a dimenticarsi delle parole di Gesù: “Chi non ha peccato scagli la prima pietra”. La Pastorale Carceraria tenta con non poche difficoltà di essere la presenza di Cristo nelle prigioni cercando di fare ciò che avrebbe fatto lui in mezzo a loro oggi.

 

Tratto da Sempre