Carcere di Capanne: agente tenuto in ostaggio mezz'ora

Situazione esplosiva nelle carceri umbre. Ieri notte, alle 22,30, un assistente capo di polizia penitenziaria è stato tenuto in ostaggio per mezz'ora con una lametta al collo da due detenuti extracomunitari nel carcere di Capanne, a Perugia, presso il reparto penale vale a dire dove si trovano detenuti con pene definitive. La situazione è stata risolta dall'intervento di altri agenti. A darne notizia il sindacato della penitenziaria Osapp. Non è ancora chiaro per quali reati i due extracomunitari fossero rinchiusi a Capanne. Gli stranieri – scrive Ansa – sono stati posti ora in isolamento. Nei loro confronti sono state già avviate le pratiche per il trasferimento dal carcere di Perugia. Su quanto successo la polizia penitenziaria ha inviato un'informativa alla procura della Repubblica di Perugia ipotizzando il reato di sequestro di persona.

“Ancora una volta siamo costretti a dare notizia dell’ennesimo atto di violenza – riferisce in una nota Fabrizio Bonino, segretario nazionale dell’Umbria del sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe – in una realtà dove l’emergenza è all’ordine del giorno e in cui il sistema regge ancora grazie al sacrificio e alla abnegazione delle donne e degli uomini in divisa della Polizia Penitenziaria”.

I precedenti

Quello di Capanne non è un caso. La cronaca registra negli ultimi tempi diversi episodi nelle carceri umbre che vedono agenti rimanere vittime di violenze e aggressioni. Nel carcere di Spoleto, un italiano del circuito penitenziario alta sicurezza all’improvviso e per futili motivi ha aggredito a pugni un assistente capo che è riuscito a limitare i danni grazie ad altri detenuti che hanno bloccato l’aggressore. A Terni due carcerati, sottoposti al regime penitenziario del 41bis, quello più restrittivo, si sono scagliati a colpi di banane contro un poliziotto perché la frutta non era di loro gradimento, colpendolo anche con il manico di scopa. “Nelle carceri umbre si contano sistematicamente atti di autolesionismo, tentati suicidi sventati in tempo dagli uomini della Penitenziaria, che intervengono per sedare colluttazioni, a rischio della vita e di ferimenti”, ha commentato Donato Capece, segretario generale del Sappe.

Il commento

In terris ha chiesto un commento in esclusiva a Giorgio Pieri, referente del progetto Comunità Educante con i Carcerati (Cec) della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi. “In situazioni come quella di oggi si rende sempre più evidente che il sistema carcere come oggi è concepito è un sistema violento che non dà possibilità di un futuro migliore e di recupero ai reclusi. Il sovraffollamento – endemico nelle carceri italiane – tende solo ad acuire un problema di fondo: le carceri sono un sistema di per sé violento che va sostituito con un modello migliore. Diceva don Oreste che la nostra società è inconvertibile e che va sostituita con modelli alternativi. Ossei dire anche il carcere è “inconvertibile” e che andrebbe sostituito con modelli alternativi più efficienti nei quali la violenza è ridotta quasi a zero. Un esempio è il modello Apac ideato in Brasile e che troviamo in alti 23 paesi nel mondo”. Nel Paese sudamericano, dove sono recluse oltre 622 mila persone, si è sperimentato un sistema di detenzione alternativo, senza guardie né armi, che responsabilizza i detenuti, coinvolge le comunità locali e i giudici. “Riconosciuto dall’Onu come il migliore dal punto di vista mondiale; in Italia esiste il progetto Cec affiliato all’Apac”. “La polizia penitenziaria oggi è molto più preparata rispetto a un tempo, per quanto siano degli eroi coloro che lavorano dentro il carcere – conclude Pieri – il carcere rimane un sistema violento, quindi questi episodi sono destinati purtroppo a ripetersi”.

 

Per conoscere il progetto Cec “Comunità Educante con i Carcerati” leggi qui.