Cacace: “Se torno in Libia le mie figlie mi sparano”

L’incubo è finito ma nelle parole di Bruno Cacace e Danilo Calonego c’è ancora l’eco dei giorni terribili del rapimento subito in Libia il 19 settembre scorso insieme a un collega italo-canadese, Frank Poccia. Dopo la loro liberazione i due tecnici dell’impresa Con.I.Cos. sono tornati in Italia, dove sono stati ascoltati a Roma dal pm Sergio Colaiocco che indaga per sequestro di persona con finalità di terrorismo. Dopo il lungo interrogatorio, nella caserma del Ros dei carabinieri a Ponte Salario, nella notte, finalmente, il ritorno a casa. “L’ho proprio scampata. Stavolta ho rischiato grosso. Potevo rimetterci la vita” ha detto Danilo Calonego appena ha riabbracciato i suoi familiari a Peron di Sedico, in provincia di Belluno, questa notte alle 2. “L’ho visto molto provato, stanco – ha raccontato Daniela, una delle due sorelle – ma felice. Ci ha detto che stavolta ha rischiato molto, che poteva rischiare la vita, ma era contento dell’esito positivo della vicenda. Ha detto che ogni giorno pensava alla mamma. Ha 94 anni e le abbiamo sempre raccontato che Danilo era all’estero per lavoro, per questo non la chiamava”.

Stesse scene di gioia a Borgo San Dalmazzo, nel Cuneese, dove è rientrato Bruno Cacace. “Se torno in Libia le mie figlie mi sparano, non posso tornare” ha detto nel cortile di casa parlando con i giornalisti. Insieme a lui la figlia Stefania e la mamma, Maria Margherita Forneris. Questa sera è previsto l’arrivo dell’altra figlia, Lorenza, che vive a Parigi. “Io piango poco, ma le mie figlie hanno pianto molto” ha detto il tecnico italiano. “Sto bene, questa notte ho dormito” aggiunge. Poi, riferendosi al giorno in cui è stato rapito, racconta: “Ho capito subito che non volevano solo la macchina, ho capito subito che era un’altra cosa. Fortuna che siamo qui a raccontarlo…”. “Sono stati giorni infernali” commenta la mamma Maria Margherita – Ho avuto tanti momenti di sconforto, ma la comunità di Borgo ci è stata vicino. Faremo una festa di famiglia e una festa di ringraziamento. Siamo felicissimi tutti quanti”.
I due tecnici hanno spiegato al magistrato che i loro rapitori non erano jihadisti. Bevevano alcol e non pregavano. Si sarebbe trattato di una banda di criminali convinta che a bordo dell’auto su cui viaggiavano i due italiani insieme a Poccia ci sarebbe stato in realtà il manager libico della Con.I.Cos. Quel giorno, infatti, era prevista la cerimonia di consegna dell’aeroporto di Ghat e i banditi erano convinti di trovare il manager con i soldi dei lavori. Secondo le vittime del sequestro, uno dei rapitori avrebbe anche esclamato “Non è lui”.