Brera nel Dna di Milano

L'Italia è il Paese con il più importante patrimonio artistico al mondo. E’ apparso naturale perciò a Brera varare un passaporto che rechi impressa la propria identità culturale.

Nel tessuto culturale della metropoli

“L’obiettivo principale del lavoro svolto negli ultimi quattro anni è stato proprio questo: riconnettere il museo con la città, riallacciando i fili del tessuto culturale e sociale che lo avvolge”, spiegano i promotori dell’iniziativa. Sono da interpretare in questa chiave molte delle recenti iniziative promosse dalla Pinacoteca milanese, così come il suo ultimo progetto: il passaporto La Grande Brera, 127 pagine con il Dna della grande pittura. La pubblicazione, che verrà presentata nelle prossime settimane, ha lo scopo di incoraggiare l’esplorazione del quartiere di Brera ed è pensata non solo per chi vive a Milano, ma anche per chi visita la città per la prima volta.

Un punto di riferimento

“Stampato su carta di qualità, bilingue (italiano e inglese), ricco di immagini e di utili informazioni, il passaporto sarà distribuito gratuitamente alla Pinacoteca di Brera, nelle gallerie d’Italia, in vari esercizi commerciali e in istituti culturali braidensi che hanno contribuito alla crescita del quartiere di Milano, rappresentando un punto di riferimento per tutta la città- precisano i promotori-. Ma il passaporto è molto più di una semplice guida: visitando i luoghi elencati nel libretto, sarà infatti possibile farsi rilasciare un timbro che, oltre a renderlo un personale souvenir di Milano, darà diritto a sconti e agevolazioni in alcune delle realtà che aderiscono al progetto. Per esempio in Pinacoteca, dove presentando il passaporto con 5 timbri si avrà diritto a un biglietto di ingresso gratuito”.

Profilo storico

La Pinacoteca di Brera, museo di statura internazionale nato come grande museo nazionale del neonato Regno d'Italia e strumento napoleonico di autocelebrazione, ha sede nell'omonimo palazzo milanese, il cui aspetto attuale è frutto degli interventi dei celebri architetti Francesco Maria Ricchini e Giuseppe Piermarini. Le sue collezioni, originate per lo più dalle requisizioni napoleoniche in Italia e dalle soppressioni di chiese e conventi, sono andate crescendo nei secoli anche tramite legati, donazioni di collezioni e acquisizioni di opere di allievi e maestri dell'Accademia, con la quale il museo condivide storicamente la sede. La Pinacoteca espone opere databili tra Trecento e Novecento, di provenienza prevalentemente italiana. Il percorso espositivo ripercorre la storia della pittura suddividendola cronologicamente per scuole regionali. I secoli dal Trecento al Settecento sono rappresentati in maniera esemplare da capolavori assoluti di scuola veneta, lombarda e centroitaliana. I secoli successivi sono illustrati da significative opere sacre del Settecento, dal vedutismo veneto, dai pitocchi, dalla ritrattistica ottocentesca e dalle avanguardie italiane del Novecento. ProfiloLa Pinacoteca di Brera nacque come raccolta a finalità didattica per la formazione dei giovani allievi dell'Accademia di Belle Arti istituita da Maria Teresa d'Austria nel 1776. 

L’Accademia di Belle Arti

Il Palazzo dove ha sede l'Accademia di Belle Arti deve il suo nome, Brera, al termine di origine germanica “braida” indicante uno spiazzo erboso. Sorto sul luogo di un convento dell'ordine degli Umiliati, il palazzo passò ai Gesuiti (1572) che nel secolo successivo ne affidarono la radicale ristrutturazione a Francesco Maria Richini (dal 1627-28). Soppressa nel 1772 la Compagnia di Gesù, il palazzo ricevette un nuovo assetto istituzionale in cui, accanto all'Osservatorio Astronomico e alla Biblioteca già fondata dai Gesuiti vennero aggiunti nel 1774 l'Orto Botanico e nel 1776 l'Accademia di Belle Arti. Mentre l'architetto Giuseppe Piermarini curava il completamento dell'edificio, l'accademia iniziava così ad assolvere la sua funzione, secondo i piani dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria, di sottrarre l'insegnamento delle Belle Arti ad artigiani e artisti privati sottoponendolo “alla pubblica sorveglianza ed al pubblico giudizio”.

Il legame con Parigi

Per poter insegnare architettura, pittura, scultura, ornato, la scuola doveva essere provvista di raccolte di opere d'arte (gessi tratti da statue antiche) che servissero da modelli agli studenti. Per stabilire poi un legame tra la formazione artistica ed una più vasta preparazione culturale – secondo quanto era stato auspicato già da Giuseppe Parini – venne istituita la figura del segretario nella cui carica si succedettero l'abate Carlo Bianconi (1778-1802) e Giuseppe Bossi (1802-1807). A quest'ultimo, geniale esempio di letterato artista dell'età neoclassica, si deve un potente impulso nella vita dell'Accademia che, durante il periodo napoleonico, conosce un momento di straordinario vigore vedendo finalmente istituita una propria Biblioteca e la propria Pinacoteca (con i quadri che venivano sottratti a tutta Italia tra cui lo “Sposalizio della Vergine”di Raffaello), riattivata la scuola di incisione e rinsaldato il legame con il mondo parigino ed europeo grazie alle nomine di soci onorari che nel giro di pochi anni comprendevano David, Benvenuti, Camuccini, Canova, Thorvaldsen e l'archeologo Ennio Quirino Visconti. Durante la Restaurazione, l'Accademia registra progressivamente le tendenze, spesso contraddittorie,della cultura romantica: in pittura trionfa il quadro storico grazie al magistero di Francesco Hayez e si istituisce la scuola di paesaggio (Giuseppe Bisi) sul modello dei paesaggi storici dipinti da Massimo D'Azeglio, la cattedra di estetica prende a trasformarsi in un insegnamento di storia dell'arte vera e propria. Siamo ormai alle soglie della crisi dell'Accademia che diventerà evidente subito dopo l'Unità d'Italia quando il mutato clima culturale (per l'avvento della fotografia e il rifiuto a imparare dai modelli antichi) porteranno ad abolire il famoso pensionato a Roma riservato agli allievi migliori e a separare (nel 1882) la gestione della Pinacoteca da quella dell'Accademia.

L’origine delle esposizioni annuali

Sempre alla gestione di Bossi risale l'inizio delle esposizioni annuali (1805), che furono davvero la maggior manifestazione di arte contemporanea in Italia durante l'Ottocento perchè offrivano una rassegna tanto dei lavori degli studenti, stimolati dalla prospettiva dei premi messi a concorso, quanto delle opere di artisti italiani ed europei, nonchè l'attività della Commissione di Ornato che svolgeva un controllo sui pubblici monumenti simile a quello delle odierne Sopraintendenze. Dal 1891 le esposizioni diventeranno triennali mentre la cultura architettonica consolida i propri modelli (dal 1897 al 1914 è presidente dell'Accademia Camillo Boito che aveva avuto tra i suoi allievi Luca Beltrami) fino a rendere autonomo il proprio insegnamento. A vivere il difficile periodo delle avanguardie, per l'insegnamento di pittura, è Cesare Tallone, che fu maestro di Carrà e di Funi.

Da Fontana a Cascella

Nel 1923, con la riforma della scuola promossa da Giovanni Gentile, viene istituito accanto all'Accademia il Liceo Artistico: negli stessi anni la scuola di scultura è tenuta da Adolfo Wildt (cui succederanno Francesco Messina e Marino Marini) che avrà trai suoi allievi due tra i massimi rinnovatori dell'ambiente artistico milanese negli anni a venire, Lucio Fontana e Fausto Melotti, mentre per Funi sarà istituita la cattedra di affresco. La difficoltà di trovare un assetto istituzionale rispondente alle sempre mutate condizioni culturali (già prima dell'ultima guerra esisteva un insegnamento di pubblicità alla serale Scuola degli Artefici) diventa sempre più evidente nel secondo dopoguerra quando l'Accademia riapre i suoi corsi grazie alla direzione di Aldo Carpi: se ne è fatto interprete negli ultimi decenni Guido Ballo, come professore di storia dell'arte, e accanto a lui maestri di scultura come Alik Cavaliere e Andrea Cascella e di pittura come Mauro Reggiani, Domenico Cantatore, Pompeo Borra e Domenico Purificato.