Il carcere come luogo di anime e non di soli corpi. Intervista di Interris.it all’ex deputata Rita Bernardini

Sulla situazione delle carceri italiane durante la pandemia da Covid-19, intervista di Interris.it a Rita Bernardini, politica italiana, membro del Consiglio Generale del Partito Radicale ed ex deputata, che con l’iniziativa non violenta ‘Memento’ chiede un modello di riforma della Giustizia democraticamente scelto dai cittadini

Quando è scoppiata la pandemia nel febbraio del 2020, esattamente un anno fa, le carceri italiane erano già sovraffollate con circa 61mila detenuti a fronte di 50mila posti regolari disponibili con un tasso di affollamento ufficiale del 120%. L’emergenza Covid non ha solo emarginato ancora di più personale e detenuti ma li ha anche resi tutti più vulnerabili. Benché durante l’anno passato la Magistratura di sorveglianza abbia cercato di risolvere in parte il problema del sovraffollamento permettendo al più alto numero possibile di persone di trascorrere gli ultimi mesi di detenzione presso il proprio domicilio, durante l’estate le carceri si sono riempite di nuovo permettendo al virus di insinuarsi con più vigore nelle strutture carenti di servizi e di personale e di mietere vittime, anche tra gli operatori del settore. La situazione contagi aggiornata al 28 gennaio scorso dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria registra un totale di 660 infettati tra il personale e 576 detenuti.

Non sono solo i contagi però ad allarmare, ma anche l’isolamento nell’isolamento. Come se le persone che scontano la loro pena in carcere debbano scontare anche un ulteriore castigo dovuto all’impossibilità di ricevere le visite dei propri cari. Spesso gli istituti di correzione non sono digitalizzati e preparati per sostituire gli incontri in presenza con quelli in video conferenza. Le carceri vanno ristrutturate e le infrastrutture tecnologiche modernizzate investendo anche nel personale sia penitenziario che civile per aumentare la possibilità che davvero il carcere sia un luogo di riabilitazione umana e non di martirio. Rita Bernardini che da sempre si occupa dei grandi temi sociali, con impegno sempre più pressante sul versante dei diritti civili e politici, ha dato vita all’iniziativa non violenta ‘Memento’ per richiamare all’attenzione della politica italiana il problema delle carceri sotto la pandemia da Covid-19.

Come nasce l’iniziativa “Memento” e perché?

“E’ maturata in uno degli ultimi scioperi della fame. Mi sono detta, perché non andare sotto il Ministero della Giustizia per ricordare al ministro quali sono i suoi obblighi nei confronti della popolazione detenuta. Ogni giorno vado lì e faccio un’ora d’aria camminando e conversando in diretta con Radio Radicale con un interlocutore che il carcere lo conosce. E così sono stati con me Luigi Manconi, lo scrittore Sandro Veronesi, il garante della Campania Samuele Ciambriello, la giornalista Flavia Fratello e tanti altri. Al termine dell’ora attacchiamo un post-it gigante sul muro del Ministero. Oggi era con me Totò Cuffaro che ha lasciato questo memento: le carceri non sono storie di corpi ma di anime”.

Che cosa chiederà al nuovo governo  e che cosa si aspetta di diverso dal precedente? 

“Di diverso mi aspetto tutto quello che non è accaduto con i governi precedenti. Come quando si doveva attuare la riforma dell’ordinamento penitenziario, con Gentiloni e Orlando ma all’ultimo momento si è risolta in un nulla di fatto per la paura di perdere voti. Quindi chiederò, con il Partito Radicale e con l’associazione Nessuno Tocchi Caino, che l’esecuzione penale divenga aderente ai principi costituzionali e mi auguro che ci sia attenzione al metodo nonviolento che ricerca dialogo e impegno”.

Quali le priorità dell’emergenza Covid-19 nelle carceri e quelle di una nuova riforma della giustizia?

“La prima cosa da fare è ridurre immediatamente la popolazione detenuta per farla rientrare in parametri legali e costituzionali. Noi abbiamo le nostre proposte: amnistia, indulto, liberazione anticipata speciale, riforma dell’ordinamento penitenziario così come scaturita dagli Stati Generali dell’esecuzione penale. Ne hanno altre altrettanto efficaci? Le nostre capacità di ascolto sono elevatissime, ma il risultato va raggiunto rapidamente perché oggi le nostre istituzioni continuano a comportarsi senza rispetto  nei confronti delle persone che, se condannate, dovrebbero essere… rieducate. Quanto alla riforma della giustizia io credo che il Partito Radicale l’abbia scritta nero su bianco con i suoi referendum storici. Dobbiamo tornare a riproporli perché non credo che Parlamenti e Governi siano in grado di adottarla, meglio che decidano i cittadini”.

Sulla riforma della giustizia: che cosa poteva essere salvato della riforma Bonafede e che cosa no assolutamente? 

“Purtroppo nulla, perché non ha alcunché di sistemico, soprattutto se facciamo riferimento all’equilibrio dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. E’ una controriforma dell’ordine democratico. Il governo è caduto per questa riforma. Nel Paese più condannato in sede europea per l’irragionevole durata dei processi, si è pensato di abolire la prescrizione, cioè l’unico antidoto per cercare di mitigare l’eccessiva lunghezza dei procedimenti contrastata dall’art. 111 della nostra Costituzione e dall’art 6 della Convenzione EDU. Una persona non può rimanere appesa a vita al processo che è di per sé una condanna, anche se alla fine si è assolti. “.

Lei ha interrotto lo sciopero della fame dopo l’appello dei parlamentari. Lo riprenderà o c’è speranza di arrivare prima a un tavolo di ascolto? 

“Ho voluto ringraziare pubblicamente i 35 parlamentari di tutti i gruppi politici che mi hanno chiesto di sospendere lo sciopero della fame in attesa della formazione del nuovo governo e dell’insediamento del nuovo ministro della giustizia. Io mi auguro che non sia necessario riprenderlo. Credo che chi non ha mai fatto uno sciopero della fame non sia in grado di apprezzare fino in fondo quanto sia bello mangiare. Un pezzo di pane ha un valore immenso”.