In un mese due milioni di Ave Maria dai balconi d’Italia

A un mese esatto dall’inizio della preghiera collettiva che ogni sera alle 19.30, attraverso i social, illumina di fede e di speranza i balconi d’Italia, è stata sorprendentemente superata la quota di due milioni di partecipanti. Tante sono le persone raggiunte dall’iniziativa proposta a metà marzo dai fedeli laici che mi hanno sollecitato in tempo di lockdown a intraprendere quella mobilitazione spirituale e morale. E’ così che è stato centrato l’obiettivo di tenere viva la fiammella della devozione mariana in un momento nel quale la domanda di sacro e di religione percorre nuove strade e cerca strumenti di dialogo individuale e comunitario che integrino quelli istituzionali e tradizionali.

Mi piace ricordare un aneddoto, credo illuminante: il “contemplattivo” don Oreste Benzi, (fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, di cui faccio parte), oggi avviato verso l’onore degli altari, fu tra i primi ad affidarsi per le sue ininterrotte peregrinazioni in macchina, ad un mezzo, allora rivoluzionario e di ultima generazione, come il navigatore satellitare. Peccato, però, che la tecnologia del tempo non consentisse ancora una reale precisione nelle indicazioni stradali, e così a lui, e a me che lo accompagnavo ovunque in auto, capitava di essere condotti da una voce che non ammetteva repliche, verso destinazioni spesso in contrasto con le nostre intenzioni. Ciò nonostante, la fiducia e l’entusiasmo indistruttibile di don Oreste per quella guida tecnologica erano tali da fargli interpretare la voce del navigatore come quella di un Dio biblico che indica la strada a noi umili epigoni di Mosè nel deserto. Anche quando ci trovavamo davanti ad un muro per l’errata indicazione ricevuta dal navigatore, la sua fedeltà al nuovo strumento di Dio restava granitica, malgrado le mie rimostranze. La sua santa testardaggine lo spingeva a confermare il proprio credito alla volontà superiore e perciò la sua risposta era sempre la stessa: “Qualche volta anche Dio sbaglia strada, però sa sempre come recuperare la via giusta. Diamogli fiducia”.

Da allora la tecnologia ha compiuto progressi giganteschi. Nella nostra Ave Maria dal balcone per i malati di Covid-19 e chi li assiste, la natura globale dell’emergenza sanitaria in corso si comprende anche dalla moltitudine di collegamenti che riceviamo via web da decine di nazioni che si uniscono alla novena per senso di condivisione e per un sentimento autenticamente cattolico secondo l’etimologia del termine. L’importanza di questo inaspettato traguardo numerico va contestualizzata in un utilizzo finalmente positivo e costruttivo di quelle piattaforme tecnologiche che, per necessità, sono state trasformate dai credenti in luoghi virtuali sostitutivi dell’attività pastorale forzatamente sospesa a causa delle misure anti-contagio.

Come ci ha insegnato Papa Francesco in questa quaresima-quarantena, la religiosità si può declinare in una dimensione domestica e familiare che consente di scongiurare il senso di privazione provocato dalle restrizioni disposte in tutto il mondo dalle autorità sanitarie. Il Vangelo ci insegna che lo Spirito è necessario quanto il pane per impedire che le tenebre dell’abbandono e dell’ignavia recidano i legami orizzontali tra fratelli e verticali con il Padre. Il bisogno di trascendente è insito nella natura umana al pari dell’urgenza di sperare nel ritorno ad una vita declinata al plurale che consenta di pregare tenendoci nuovamente per mano e guardando negli occhi il prossimo senza il terrore di esserne contagiato.

La differenza tra l’Ave Maria dal balcone e la dimensione comunitaria della fede è di forma e non di contenuto. In questo mese ho avvertito la presenza delle centinaia di migliaia di persone che hanno pregato con me ogni giorno e che continueranno a farlo nelle prossime settimane esattamente come accade quando visito una “chiesa domestica” per portare una benedizione ai sofferenti o percorro le vie della sofferenza per assistere ed accogliere coloro che la pandemia ha reso ancor più emarginati e fragili.

Le periferie geografiche ed esistenziali incrociano anche le autostrade informatiche che portano nelle case le aspirazioni spirituali, l’anelito al superamento del mortificante presente nell’ottica di un’auspicata iniezione di normalità. Da qui deriva il mio auspicio, il mio accorato appello, che almeno cinque minuti al giorno, il tempo di un’Ave Maria, si stacchino gli occhi dagli schermi dei telefonini per alzarli verso il cielo. Gli smartphone possono diventare candele che riflettono la luce di Cristo arrivando dove noi crediamo ci sia ascolto e “campo” oltre ogni connessione, con il grido di fede e di rinnovata invocazione di misericordia del popolo di Dio. E’ proprio vero che il Signore scrive dritto attraverso le nostre righe storte, quindi quei social che tante volte veicolano fake news e istinti deprecabili stavolta hanno consentito a oltre due milioni di persone di essere raggiunte dall’invocazione a Maria che sola può riportare ovunque la luce anche quando sembra esserci solo il buio.