Sulla rotta balcanica con Hussam: il tratto finale di un viaggio infernale

Sono molti i migranti che in cerca di speranza per un futuro migliore rischiano la vita per arrivare in Europa. Ecco cosa succede sulla rotta balcanica

Foto di ©Vatican News

La guerra in Medio Oriente ha fatto ripiombare la paura del terrorismo e così l’Europa si blinda. Prima l’attentato a Bruxelles, dove sono stati uccisi due tifosi svedesi, poi gli allarmi bomba in diversi aeroporti e altri luoghi sensibili hanno portato nove paesi del vecchio continente al temporaneo ripristino dei controlli alle frontiere con la sospensione della libera circolazione prevista da Schengen. Da sabato 21 ottobre l’Italia ripristinerà i controlli alla frontiera con la Slovenia. Oltre al nostro Paese, ci sono Austria, Germania, Norvegia, Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia, Svezia e Francia. In sostanza l’Europa centrale chiude la rotta balcanica, una delle principali rotte migratorie attraversata da migliaia di persone in fuga da povertà e conflitti.

Lo spazio Schengen oggi consente a più di 400 milioni di persone appartenenti a 27 Paesi di circolare liberamente tra gli Stati membri senza sottoporsi ai controlli di frontiera. E’ la più vasta zona di libera circolazione al mondo ed è una delle principali conquiste del progetto europeo. Quel progetto di un’Europa unita che si iniziò a costruire all’indomani della seconda guerra mondiale proprio per evitare che la guerra potesse tornare a dilaniare i popoli europei. La sospensione temporanea è prevista dagli accordi per rispondere a una minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna. Questa è la prima volta – se si esclude l’emergenza Covid – che così tanti paesi ripristinano i controlli alla frontiera.

Dall’inizio dell’anno dalla frontiera slovena sono entrate irregolarmente in Italia 16 mila persone, quasi il doppio dell’anno scorso. Nulla in confronto all’esodo che investì i Balcani nel 2015, quando, secondo l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, oltre 700 mila persone giunsero in Europa attraverso la rotta balcanica. Di queste 224 mila erano bambini. Un flusso senza precedenti che si interruppe nella primavera del 2016 con la firma dell’accordo tra Unione Europea e Turchia.

Il racconto di un’operatrice umanitaria

“Qui in Croazia in questi anni ho visto tanti gruppi di 20-30 persone che sono state abbandonate sulle montagne. Tante famiglie, donne e bambini, senza vestiti, infreddoliti, affamati. I passeur, coloro che li aiutano a passare il confine, si fanno pagare e poi gli dicono che sono arrivati in Italia“. A parlare è un’operatrice umanitaria croata – che intende rimanere anonima – che lavora al confine con la Bosnia. “Dopo la guerra qui in Croazia siamo diventati più nazionalisti. – continua l’operatrice – E’ vero che la polizia è dura con loro, ma abbiamo visto anche la sensibilità di poliziotti, perlopiù donne, che hanno sostenuto le persone più fragili. Noi siamo tra i pochi che aiutano i migranti con beni di prima necessità, ciononostante a volte è capitato che ci rubassero i vestiti stesi ad asciugare”. Negli ultimi anni sono stati segnalati moltissimi casi di abusi e violenze nei confronti dei migranti, così come il mancato rispetto delle norme internazionali ed europee in materia di asilo.

La storia di Hussam

Quando ho attraversato i Balcani avevo 21 anni“, racconta Hussam – nome di fantasia -, giovane pakistano, che ha intrapreso un viaggio lungo, pieno di pericoli e soprusi. Ad ogni frontiera ha dovuto pagare centinaia se non migliaia di dollari per passare. Partito da Lahore, è passato per Quetta in Pakistan dentro il baule di un’auto; ha attraversato l’Iran dormendo nelle grotte; per raggiungere Doğubayazıt in Turchia ha dovuto valicare il monte Ararat, 5 mila metri, il luogo dove secondo la tradizione biblica è approdata l’Arca di Noè. Infine dalla Turchia – “ad Istanbul dormivo nello spartitraffico” – è riuscito a passare il fiume Evros ed entrare in Grecia. Da qui parte la rotta balcanica, il tratto finale di un viaggio ben più lungo. “Sono partito da Salonicco, di notte, con altri. Ci hanno portato in auto fuori città e poi abbiamo iniziato a camminare. I boschi erano pieni di polizia ed avevamo tutti paura”. Attraversata la Macedonia, arriva in Serbia, ma il vero dramma è stato in Bosnia. “Ho visto molta gente morta lungo la strada, in mezzo alla neve. Al campo di Bihac altri profughi mi hanno picchiato e derubato del telefono e dei soldi”. Hussam è riuscito a proseguire il viaggio solo grazie all’aiuto di gente di buon cuore che lo ha aiutato e grazie a suo padre che gli inviava i soldi. Al confine tra Croazia e Slovenia, dopo l’ennesimo furto e pestaggio, aveva deciso di rinunciare, «andai dalla polizia chiedendo di essere rimpatriato, ma loro mi risposero che potevo tornare a piedi, come ero arrivato. Bevevo l’acqua dai fossi, mangiavo le foglie dei rami e cercavo vestiti tra i rifiuti“. E’ stato in quest’ultimo tratto che ha visto un suo amico morire di freddo. Alla fine si unisce ad un gruppo di persone e attraversano i boschi di montagna seguendo le linee dei tralicci dell’alta tensione e arriva in Italia. “E qui è cominciata un’altra storia”. Oggi Hussam lavora con un contratto tempo indeterminato in un ditta di sartoria, ha una casa, un’auto e sta facendo le pratiche per far venire in Italia sua moglie.

La gestione dei flussi migratori è certamente una delle più grandi sfide che l’Europa sta affrontando. Ma potrebbe essere anche un’opportunità. In fondo le migliaia di persone, come Hussam, che sono disposte ad affrontare anche la morte per avere la possibilità di una vita migliore sono portatori della più potente delle virtù che una persona possa avere: la speranza.