Un battesimo celebrato in italiano, arabo e ebraico: un segno di speranza in un mondo in guerra

Interris.it ha raccolto la testimonianza di Chiara Pezzulich, insegnante di italiano che vive con il marito Hussam e i figli Giovanni e Marta ad Haifa

haifa - chiara
A destra Chiara e Hussam

Haifa è una città israeliana molto diversa da Gerusalemme e Betlemme. Qui il turismo non c’è e l’economia poggia le sue basi sul porto e sull’industria. Nonostante sia fuori dai circuiti del conflitto anche qui la paura sta crescendo sopratutto da quando l’Iran ha minacciato di attaccare Israele passando per Haifa.

L’intervista

Interris.it ha intervistato Chiara Pezzulich, insegnante di italiano di Torino che abita ad Haifa, nel nord dello stato di Israele. Qui ha costruito la sua famiglia con Hussam, medico oncologo di origine arabo cattolica, nato e cresciuto a Nazareth. Marta e Hussam amano questo Paese e in questa città bagnata dal mar Mediterraneo hanno accolto i loro due figli, Giovanni di 3 anni e Marta di 4 mesi.

Chiara, come state?

“Rispetto ad altre città intorno a noi, qui ad Haifa la situazione è più tranquilla. Nonostante ciò viviamo in una condizione di continua allerta e di preoccupazione per un futuro che non sembra promettere nulla di buono. Qui apparentemente la vita è la stessa, ma molte attività commerciali sono chiuse o fanno orario ridotto in quanto c’è poca gente in giro e nessuno acquista”.

In questi giorni l’Iran ha minacciato di attaccare Israele mandando dei missili su Haifa?

“Le notizie di questo possibile attacco ci terrorizza perché se davvero si muoveranno anche Iran e Libano, significa che la guerra si sta espandendo a macchia d’olio. Haifa tra l’altro ha una zona industriale con dei pozzi di amonia e non oso immaginare i danni se verranno colpiti questi siti. Quando scattano gli allarmi noi ci possiamo rifugiare nei bunker del nostro condominio, ma non tutti i palazzi ce li hanno”.

Pochi giorni fa avete battezzato Marta. Perché questa scelta in un momento così critico per l’intero Paese?

“Lo abbiamo fatto per paura e per fede. In un primo momento abbiamo deciso di farlo perché la tensione è molta e abbiamo preferito che la bambina fosse battezzata. Ci siamo subito anche resi conto che era un segno di grande speranza perché significa affidare alla misericordia di Dio la vita dei nostri figli, che sono e saranno per sempre il dono più grande che abbiamo ricevuto insieme a quello della fede”.

Cosa avete provato nel giorno del battesimo di Marta?

“La cerimonia è stata molto toccante anche perché è stata fatta in tre lingue, italiano, arabo e in ebraico. Il clima che si respirava era di serenità e siamo sicuri venisse dalla fede che quel giorno ci univa tutti. Ogni sentimento negativo e di paura è rimasto fuori da quella Chiesa e tutti siamo riusciti a goderci il momento senza pensare alla situazione del Paese. Abbiamo percepito la presenza di Dio in mezzo a noi e a lui  con grande fiducia abbiamo affidato la nostra bambina e la nostra famiglia”.

Tuo marito è arabo cattolico in Israele, come vive questi momenti?

“Haifa è sempre stata una città culturalmente aperta e per questo non ci sono mai stati problemi di convivenza tra le varie culture. Ovviamente in queste settimane di conflitto c’è sempre qualcuno che lo esorta a schierarsi o con gli arabi o con gli ebrei e questo fa male, perché in situazioni come queste non ci sono né vinti né vincitori da sostenere. Mi piace però che nonostante ciò lui tutti i giorni va a lavoro e ancora oggi trascorre la pausa pranzo con colleghi di diverse religioni”. 

Anche questo è un messaggio di pace?

“Sì perché dimostra che la diversità non deve essere vissuta con un elemento di divisione e di discordia. Penso che in questa società manchi questa consapevolezza e la voglia di vedere l’altro come una ricchezza perché diverso da quello che noi siamo. Sicuramente se tutti noi fossimo capaci di far questo e di dialogare la pace stessa sarebbe più facile da raggiungere”.