Dott.ssa Ambrosini (AriSla): “Perché è importante finanziare la ricerca”

Intervista di Interris.it alla dott.ssa Anna Ambrosini, Responsabile scientifico di Fondazione AriSla

Natale, tempo di regali. Ma qual è il regalo perfetto? Se lo chiedessimo a un bambino, probabilmente nella maggior parte dei casi, la risposta potrebbe essere un giocattolo. Ognuno di noi potrebbe dire cosa gli piacerebbe trovare sotto l’albero di Natale, racchiuso in una bella carta colorata e impreziosito da un nastrino luccicante.

Donare la speranza

Ma per alcune persone un dono non è una cosa che semplicemente si può trovare in un pacchetto da scartare, niente che si possa toccare con mano, ma che al pari del regalo fatto con più amore, è capace di far battere veloce il nostro cuore: la speranza. La speranza di sconfiggere una malattia, per la quale al momento non esiste una cura, è l’impegno che AriSla porta avanti, finanziando la ricerca.

La Fondazione AriSla

AriSLA, Fondazione Italiana di ricerca per la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) rappresenta il principale ente non profit che finanzia la ricerca scientifica di eccellenza su questa malattia e costituisce un punto di riferimento per tutta la comunità scientifica impegnata nella lotta alla SL. E’ nata nel dicembre del 2008 per volontà di soggetti di eccellenza in campo scientifico e filantropico quali A.I.S.L.A. Onlus – Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica, Fondazione CariploFondazione Telethon e Fondazione Vialli e Mauro per la Ricerca e lo Sport Onlus.

Il bando AriSla 2021

La Fondazione, da oltre dieci anni impegnata nel campo della ricerca per capire i meccanismi della Sla, poco prima di Natale, ha annunciato i sette progetti di ricerca che riceveranno da AriSla un finanziamento: complessivamente sono stati stanziati 874.950 euro. Saranno coinvolti ben 10 gruppi di ricerca distribuiti tra Roma, Milano, Trento, Padova e Torino.

L’importanza di finanziare la ricerca

Finanziare la ricerca ha un grande valore, anche se apparentemente sembra lontana dal paziente, quella più di base, di laboratorio. Noi, ovviamente, chiediamo che i progetti che ci vengono presentati abbiano come finalità di studiare la Sla. Il ricercatore deve avere ben chiaro il punto di arrivo. E’ dalla ricerca di base che poi si sviluppano le idee più innovative. Il fiorire di idee nuove è importante per dare nuova energia alla ricerca, che è un passaggio obbligato per arrivare a una cura”, ha dichiarato la dottoressa Anna Ambrosini, Responsabile scientifico di Fondazione AriSla. Interris.it l’ha intervistata.

L’intervista alla dottoressa Anna Ambrosini

Dottoressa, come Arisla avete stanziato un notevole importo che andrà a coprire sette diversi progetti di ricerca. Quali gli obiettivi di questi studi?

“I nostri bandi sono aperti a una ricerca molto ampia che va dai meccanismi per capire la malattia e come si esplicita a livello molecolare, fino a studi di approfondimento, anche di approcci clinici, che studiano la malattia dal punto di vista di raccolta di informazioni sul paziente. Questi studi che abbiamo finanziato sono sei studi di ricerca preclinica, quindi di laboratorio, e uno che unisce gli aspetti che ho appena detto all’indagine sui pazienti. Questo proprio per ‘leggere’ a due vie i dati che vengono raccolti. Vorrei, inoltre, sottolineare che noi finanziamo due tipi di progetti: quelli pilota della durata di un anno, molto esplorativi, su idee nuove che ‘rompono’ i filoni di pensiero più consolidati; e progetti ‘full’ della durata di tre anni e con più partner che hanno bisogno di premesse molto solide che portano avanti la ricerca in maniera più approfondita. Con questo bando abbiamo finanziato quattro progetti di progetti pilota e tre progetti più avanzati, due di preclinica e uno di clinica”.

Come lei accennava, i progetti coprono setti ambiti diversi. Quanto è importante differenziare e fare ricerca su più fronti?

“E’ molto importante, perché la Sla è una malattia estremamente complessa, dove il risultato finale è la neurodegenerazione e la morte del motoneurone e, di conseguenza, all’atrofia muscolare. I motivi che innescano questo processo e causano la morte del motoneurone possono essere molti diversi tra loro e quindi finché non si conoscono i meccanismi e le differenze tra i vari tipi di Sla e i vari percorsi che portano alla neurodegenerazione, non è possibile pensare a delle soluzioni. Bisogna sottolineare che si potrebbero trovare soluzioni per un tipo di neurodegenerazione, ma non per un altro. Orientarsi solo su un filone di ricerca sarebbe estremamente riduttivo e, rispetto all’eterogeneità dei pazienti, lascerebbe fuori dal definire un approccio terapeutico la maggior parte delle persone. Per questo è importante che si studino bene tutti i vari meccanismi e si cerchino approcci di terapia molto diversi tra loro”.

Lei ha spiegato che questi studi hanno una diversa durata: alcuni sono di un anno, altri di tre anni. Per chi aspetta una risposta o una cura, magari, potrebbe sembrare un tempo infinito. Ma quanto è importante che la ricerca proceda con i suoi tempi, insomma senza affrettarsi?

“Il senso di urgenza per il paziente lo avvertiamo anche noi. Arisla è costituita da quattro membri fondatori: fondazione Telethon, Cariplo, Aisla un’associazione di pazienti e una fondazione di supporto ad amici e familiari dei pazienti. Questo senso di urgenza ci viene riportato quotidianamente. I tempi della ricerca sono lunghi, occorre prima di tutto conoscere: non si può sparare nel buio. Il ricercatore lavora in maniera molto accurata, mettendo insieme pezzettini di un puzzle che poi ci disegnano una figura chiara che possiamo comprendere. La ricerca è fatta di piccoli passi, poi a un certo punto la conoscenza arriva ad essere tale che, insieme a un’idea particolarmente innovativa, permette di raggiungere un gradino più alto. Però è necessario procedere passo passo, le scorciatoie nella scienza non ci sono e, purtroppo, sappiamo che quando vengono messe in atto, questo ci costringe a tornare indietro. Spesso fanno perdere ancora più tempo”.

In questi ultime due anni, il Covid ha occupato la quasi totalità dei nostri pensieri, facendoci dimenticare che esistono altre malattie. Quanto è importante ricordare che non esiste solo il Coronavirus?

“Purtroppo le malattie non si dimenticano dei pazienti. Soprattutto quando si ha a che fare con malattie croniche, queste continuano ad andare avanti. Sicuramente c’è stato molto lavoro da parte delle organizzazioni sia per tenere allineati i pazienti, sia per trasferire informazioni e per mantenere alta l’attenzione sulla necessità di occuparsi anche di loro e dei loro bisogni. Ci sono stati periodi durante i quali andare in ospedale per delle visite o per degli esami era più rischioso che non rimanere protetti. Con questi ci abbiamo fatto i conti tutti. Però queste malattie ci sono. Si stima che in Italia ci siano tra i 5mila e i 6mila pazienti affetti da Sla, non ci sono numeri precisi, è molto difficile stabilirlo, che hanno bisogno di assistenza, cure, che possono aiutare molto nella gestione quotidiana della malattia. Noi come ente di ricerca teniamo alta l’attenzione sulla necessità di continuare e potenziare gli studi, perché solo dalla ricerca possono arrivare delle soluzioni che possono fare la differenza”.

Ad oggi, a che punto è la ricerca per una cura contro la Sla?

“Credo che negli ultimi cinque-dieci anni ci siano stati dei cambiamenti significativi. Questo grazie all’aumento delle conoscenze che abbiamo acquisito e che hanno facilitato l’avvio anche della sperimentazione clinica; le industrie hanno iniziato ad affacciarsi anche sul mondo delle malattie rare ed ultra-rare. C’è stato un radicale cambiamento, rispetto anche alla possibilità di sviluppare terapie. Ci sono molte informazioni che mutuano da altre malattie affini neuro-degenerative. Per quanto riguarda la Sla, possiamo pensare alla Sma (atrofia muscolare spinale), una malattia che ha esordio infantile, dove anche in questo caso viene colpito il motoneurone, ci sono alcuni approcci terapeutici che si è visto possono funzionare bene. Una volta che si identifica il bersaglio molecolare, si attivano tutta una serie che permettono di poter adattare un approccio terapeutico. C’è molto più scambio di informazione che permette di imparare molto, fermo restando che l’approccio deve restare specifico per il bersaglio da colpire. Chiaramente per un paziente malato oggi, il senso di urgenza rimane fortissimo, ma da un punto di vista di osservatorio, indubbiamente c’è molta più consapevolezza e speranza”.