Don Sturzo, ambientalista “ante litteram”

Gabriella Fanello Marcucci in una sua biografia di don Luigi Sturzo pubblicata lo definisce “un ambientalista ante litteram” e scrive: “Fra i tanti interventi politici di Sturzo, a testimonianza del suo particolare interesse per la salvaguardia dell’ambiente va citata la sua difesa delle foreste. Era dettata dalla convinzione che esiste un rapporto stretto fra rispetto, tutela, promozione ambientale e vita dell’uomo. A cominciare, appunto dalle foreste e dalle montagne. Tale difesa era anche dettata da un altro imprescindibile legame, che univa le possibilità di sviluppo economico proprio alla corretta conservazione delle foreste”. Per Sturzo la tutela dell’ambiente soprattutto della montagna e dei boschi è collegata con uno sviluppo economico orientato verso il bene comune. Scrivendo al presidente del congresso nazionale di silvicoltura tenutosi all’Aquila nell’ottobre del 1948, affermava: «È proprio necessario in questo paese devastato dalla guerra ridestare l’amore e il culto della montagna, la montagna vivificala dall’albero, resa salda e feconda dai folti boschi». Si noti l’importanza che Sturzo da nel processo di ricostruzione post-bellica al rispetto per la montagna e le foreste per le quali parla con una terminologia di sapore quasi religioso di “amore” e di “culto”. L’avvio di una lungimirante politica forestale era per Sturzo un atto di intelligenza politica che si imponeva di fronte al disinteresse della opinione pubblica e alla miopia di molti politici e burocrati: «è questo — scriveva nel gennaio 1949 — uno dei quei problemi per i quali l’italiano medio e il politicante medio non hanno occhi per vedere, orecchie per sentire e cervello per comprendere.

Pertanto è uno di quei problemi che si rimandano di generazione in generazione, sempre più grave, sempre più esteso, sempre più dannoso, e, per essere avviato a soluzione sempre più costoso». Anche per la Sicilia il problema principale era per Sturzo quello delle foreste: «La ricostituzione forestale della Sicilia —scriveva a Silvio Milazzo — è un dovere della regione e sarà la migliore opera che la regione potrà fare a vantaggio dell’isola, al punto che se fosse questa sola l’utilità dell’autonomia basterebbe a giustificarla davanti a tutti i detrattori, di qua e di là dei faro, che per misoneismo, per pigrizia mentale, per interessi piccini ed egoistici, vi sono ostili». A proposito degli interventi di rimboschimento scriveva: «Pensare che in certi cantieri di rimboschimenti del piano Fanfani gli operai sono rimasti senza lavoro (ma non senza paga), per mancanza di previsione di fondi per comprare le piantine! Caso strano; c’erano i disoccupati (anche muratori e barbieri), che dovevano piantare le piantine; c’erano anche le piantine nei vivai; ma non c’era il fondo per comprare le piantine. Piccola dimenticanza burocratica!». Nel giugno 1959 definiva la sistemazione forestale del Mezzogiorno come il «problema dei problemi», nonostante la dichiarata volontà governativa di affrontarlo e i grandi progetti di iniziative e pianificazioni. Scriveva Sturzo: «È mia impressione (e la do per impressione) che la spesa fatta nel campo forestale da oltre dieci anni sia stata ragguardevole, ma i risultati, parlo del Mezzogiorno e delle Isole, siano stati mediocri e in certe zone addirittura negativi. Dico impressione, perché i dati ufficiali non mi soddisfano; i dati informativi sono, a mio giudizio, incompleti; le fanfare della festa degli alberi e le medaglie (anch’io ne ho una con mia sorpresa, e soddisfazione anche per la mia costante fedeltà al tema) non sono indice sufficiente della realtà operativa del ministero e del relativo Corpo forestale». Annotava che il corpo forestale non veniva dotato della necessaria preparazione teorica e tecnica: ricordava come esistessero «una facoltà universitaria, un’accademia, qualche centro sperimentale (naturalmente in Toscana)»; c’era anche una «scuoletta ad Edolo, eccezione degna di nota; per il resto nulla di nulla»; c’era ovunque una «preparazione generica accompagnata da conoscenze superficiali»; il corpo, insomma, era reclutato «alla men peggio»: «L’autonomia di tale Corpo è mal congegnata e senza senso di responsabilità. Il demanio forestale può dirsi dominio delle gerarchie: progetti, appalti, esecuzioni dirette, collaudi (anche di impiantì andati a male o attecchiti… come dire…? provvisoriamente). Qualche maldicente aggiunge esservi stati dei collaudi di impianti eseguiti parte sul terreno e parte sulla carta. Si era parlato di un’inchiesta, in merito agli impianti sulla carta. Si saprà la verità? Quel che si sa è che la montagna parla: la montagna meridionale è lì, ferma a vista d’occhio anche dei ministri; chi si sente senza colpa scagli la prima pietra. E no: essi sono stati o sono ministri dell’Agricoltura, non ho l’impressione esatta che siano stati anche ministri delle Foreste».

Don Sturzo riportava il parere di un tecnico americano il quale, dopo aver visitato la Sicilia, diceva che l’isola aveva perduto, in quasi mezzo secolo, la superficie coltivata e fertilizzata per le alluvioni, per le acque non regimentate, per i venti non corretti da frangivento. Ed erano questi tutti i risultati della scarsa cura dei boschi montani. Aggiungeva Sturzo: «Ha mai la Cassa per il Mezzogiorno studiato tali problemi? E sì che li conosce attraverso un personale pratico della materia; ma tra le pretese dei forestali e le insistenze del ministero con l’aggiunta dell’incompetenza (in materia) della delegazione speciale del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, la Cassa per il Mezzogiorno ha dato anch’essa l’esempio di procedere ad ambiziose bonifiche di pianura, senza considerare appieno né sviluppare convenientemente e tempestivamente la protezione montana. Durante i grandi lavori di bonifica nella piana di Catania vi sono state tre alluvioni del Simeto, del Gornalunga e altri corsi d’acqua; e parecchio si è dovuto rifare. La sistemazione del Simeto ebbe dai LL.PP. l’insufficiente finanziamento per attuare solamente i lavori dell’ansa di quel fiume. La diga di Disueli, in quel di Gela ha dovuto subire, per interramenti e danni, due interventi salutari; ma il peggio è che non avendo quella pianura regolare pendio così da consentire lo sbocco delle acque al mare, la bonifica relativa resta soggetta alle alluvioni e agli acquitrini stagionali. Ora è in corso di studio la sistemazione delle relative zone collinari e montane. Quanto tempo si perderà? Siamo lì: la montagna comanda la collina e la pianura e non viceversa; il forestale viene prima dell’agricoltore e non viceversa».

Don Sturzo sostiene che ci deve essere uno stretto rapporto tra la salvaguardia delle foreste, lo sviluppo dell’agricoltura e la valorizzazione delle zone abitate. Scriveva nel 1951: «La corrispondenza fra agricoltura e foresta è tale che non si fa l’una senza l’altra; la corrispondenza fra zona abitata e foresta è tale che non si ha sicurezza nell’una senza l’altra». Per il prete calatino la ripresa dell’agricoltura, soprattutto nelle regioni meridionali, passava attraverso la tutela della montagna e la salvaguardia dei boschi: «salvare le foreste è salvare l’agricoltura». Per don Luigi Sturzo la questione meridionale come questione nazionale implica una attenzione particolare alla tutela dell’ambiente attraverso una politica economica che favorisca tutta una serie di interventi attivi dell’uomo: «Il più grave problema da affrontare, e non solamente problema meridionale, ma di speciale urgenza per le regioni del sud, isole comprese, è quello della sistemazione montana, rinsaldamento del suolo, imbrigliamento, rimboschimento, regolarizzazione delle acque, in una parola ricordarsi che l’agricoltura comincia dalla montagna per arrivare alla pianura e viceversa». Sturzo ritiene che bisognava rovesciare il modello basalo sulle bonifiche e sull’eliminazione delle aree paludose in pianura e puntare sulla bonifica montana. Dimenticando la montagna «bastava un’alluvione a far perdere gran parte dei lavori fatti e delle piantagioni iniziate. È un lavoro di Sisifo, nel quale si perde fatica e denaro».