Singapore, il “miglior paese” per gli affari e le imprese

Per il nono anno consecutivo, Singapore si piazza al primo posto nella classifica dei Paesi dove è più conveniente fare affari o creare un’attività imprenditoriale. È quanto emerge dalla ricerca annuale elaborata dagli esperti della Banca mondiale (Wb), con la città-Stato asiatica che precede la Nuova Zelanda e Hong Kong; fra le prime 10 nazioni vi è anche la Corea del Sud, che si piazza al quinto posto. Agli ultimi posti del rapporto intitolato “Doing Business”, che prende in esame 189 nazioni, si posizionano Eritrea, Libia, Repubblica Centrafricana e Sudan del Sud.

La speciale classifica elaborata dagli esperti prende in esame parametri quali la tempistica necessaria per aprire un’attività imprenditoriale, ottenere i permessi di costruzione e la pressione fiscale. Per la Banca mondiale “la lista è simile allo scorso anno”, perché le economie dei primi 20 Paesi al mondo “hanno continuato a migliorare l’ambiente normativo per le imprese”.  L’elemento business-friendly di Singapore emerge da due dati su tutti: solo 2,5 giorni per aprire un’impresa, 31 per avere la fornitura di energia elettrica e quattro giorni per importare un container. L’inchiesta, elaborata per la prima volta nel 2004, è stata allargata quest’anno, prendendo in esame la seconda città per importanza a livello di affari nei Paesi con più di 100 milioni di abitanti. Almeno 11 gli Stati coinvolti da questo allargamento, la maggior parte dei quali in Asia (Cina, India, Indonesia, Bangladesh e Pakistan).

La Cina ha scalato tre posizioni, arrivando a occupare il 90esimo posto mentre il Giappone ne ha perse due, risultando 29esimo. Il Tajikistan è la nazione che ha compiuto i maggiori progressi, scalando il maggior numero di posizioni in classifica, pur restando confinato alla 166esima posizione. Più piccola di New York e priva di risorse naturali, la città-Stato registra nel 2014 un Prodotto interno lordo (Pil) di 297,94 miliardi di dollari, con una crescita del 2,40%. Tuttavia la ricchezza non è distribuita in modo eguale e il boom economico ha accentuato le disparità fra cittadini, con una crescita del coefficiente Gini, cioè la misura della diseguaglianza di una distribuzione, che si attesta a 0,48 (nel 2000 era di 0,444) in un metro di riferimento tra 0 e 1.