Istat: inflazione mai così alta da 36 anni. Prezzi del Carrello della Spesa a +8,2%

Poiché i beni incidono in misura maggiore sulle spese delle famiglie con minore capacità di spesa, per loro l'inflazione sale al 9,8%

Inflazione mai così alta da 36 anni a questa parte. Lo evidenzia l’analisi dell’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) che conferma la stima preliminare sull’inflazione di giugno all’8%. Tasso che non si registrava da gennaio 1986 – 34 anni fa – quando fu pari a +8,2%.

Istat: “Accelerano i prezzi degli alimentari”

L’Istat segnala che l’accelerazione dei prezzi degli alimentari sia lavorati (da +6,6% a +8,1%) sia non lavorati (da +7,9% a +9,6%), spinge ancora più in alto la crescita dei prezzi del cosiddetto “carrello della spesa” (+8,2%, mai così alta da gennaio 1986, quando fu +8,6%).

 

L’accelerazione dell’inflazione nel secondo trimestre del 2022 è determinata in buona parte dai beni energetici ma coinvolge anche beni come gli alimenti e, in misura più contenuta, i servizi.

Poiché i beni incidono in misura maggiore sulle spese delle famiglie meno abbienti, e i servizi pesano invece di più su quelle più agiate, la crescita dell’inflazione segna valori più elevati per le famiglie con minore capacità di spesa. Per loro passa dal +8,3% del primo trimestre al +9,8% del secondo trimestre, mentre per quelle più abbienti accelera dal +4,9% al +6,1%. Pertanto, il differenziale di classe si amplia a 3,7 punti percentuali.

Nel 2020 la Ue27 è area di scambio estera prevalente

Nel 2020, l’Ue27 è considerata area di scambio estera prevalente dall’85,3% degli operatori che acquistano beni dall’estero, dal 91,4% di chi li vende all’estero, dall’83,6% di quanti acquistano servizi dall’estero e dall’84,2% di chi li fornisce all’estero. Lo ripirta Istat nel report odierno “Catene globali del valore e trasferimento all’estero delle attività aziendali”.

Il 50,4% delle imprese che hanno acquistato beni o servizi dall’estero ha un ruolo di rilievo all’interno delle catene globali del valore di appartenenza (47,3% tra quelle che hanno venduto beni o servizi all’estero). Tra le imprese che hanno trasferito all’estero attività o funzioni aziendali, il 45,3% ha delocalizzato l’attività principale.

Le catene globali del valore, meglio note come GVCs (acronimo dell’inglese Global Value Chains) – spiega OrizzoontiPolitici.it – sono tutte le forme di attività economica in cui la produzione di un bene e/o servizio è ripartita tra diverse nazioni. Ad esempio, Apple costruisce i suoi dispositivi elettronici seguendo una struttura tipica delle GVCs: il design avviene in California, i componenti vengono prodotti in svariate nazioni, per poi essere assemblati in Cina.

La possibilità di frammentare la produzione a livello globale trae origine da due fattori: il primo, tecnologico, include il miglioramento delle telecomunicazioni e il crollo dei prezzi di trasporto via nave.

Il secondo è invece politico: senza libertà di movimento dei beni, nessuna azienda potrebbe investire nella produzione all’estero senza incorrere in spese esorbitanti. Se uno di questi due fattori venisse a mancare, come appena venuto nel canale di Suez, le ripercussioni sull’economia globale sarebbero molto pesanti.