Torres si ritira: la favola del Niño che conquistò la Kop

Di giocatori così se ne sono visti davvero pochi, in grado di far innamorare tifoserie intere e di riuscire a restare nel loro cuore anche quando le cose non andavano più tanto bene. Fernando Torres chiude con il calcio, perlomeno quello giocato, al termine di una carriera magnifica, con la sensazione che sarebbe potuta essere ancora più straordinaria di quanto non sia stata. O forse no, visto che di trofei in bacheca, tra club e nazionale, ne ha messi parecchi, quasi tutti offrendo un contributo decisivo. Il bello magari è proprio questo: capire se va bene così o se si poteva far meglio, se l'appellativo di “grande” può essere ritenuto giusto per indicare questo calciatore, elegante e letale come pochi centravanti sono stati, capace di conquistare Anfield e di fargli dimenticare un certo Michael Owen ma anche di fermarsi quando la consacrazione a fenomeno era più a portata di mano. Ecco perché quella sensazione lì non va via: El Nino, quello che incantò a 19 anni il Calderon, è stato magnifico fino a quando non è diventato uomo. Il Torres di oggi non era più il Torero della Kop, quello che a Liverpool fu re senza titoli. Ma, di sicuro, quella capacità di ritornare il biondo bomber dei Colchoneros ogni volta che serviva non l'aveva mai persa, nemmeno negli anni in chiaro scuro al Chelsea.

Da enfant prodige a campione

Una carriera lampo quella del Nino: rivelazione a 17 anni con l'Atletico Madrid, lui, ragazzo di Fuenlabrada innamorato dei Rojiblancos e capitano colchonero a 19. Poi fenomeno a Liverpool, dove fu idolo della tifoseria Reds e si consacrò come uno dei migliori centravanti di Europa, forse il migliore in quegli anni, capace di fondere tecnica e potenza come pochi sapevano fare, entrando di diritto nella storia di Anfield e in quella della Premier. Quindi il Chelsea, dove andò per una cifra record cercando la svolta definitiva e quei titoli che, nonostante gol e magie, a Liverpool erano mancati. E i titoli arrivano (una Champions, un'Europa League, una Fa Cup) ma il Torres di Stamford non è quello di Liverpool. Decisivo quando serve (come quando finalizzò il contropiede che permise ai Blues, all'overtime della semifinale, di eliminare il Barcellona e accedere alla finalissima di Champions nel 2012) ma poco prolifico sul lungo periodo, con appena 20 gol in Premier in 3 anni e mezzo, nonostante le tante partite giocate.

Gli ultimi anni

No, il Torres di Liverpool non sarebbe più tornato. La parentesi al Milan è davvero solo una parentesi e la nostalgia dell'Atletico diventa una scelta di vita nel 2015. Torna al Calderon quando già i Rojiblancos si avviavano verso il Wanda, coronando forse il suo sogno più grande: vincere un trofeo con la sua squadra del cuore. Quella finale di Europa League al Parc Olympique di Lione, nel 2018, la giocò solo allo scadere: una passerella per uno che all'Atletico aveva dato tutto, regalando le meraviglie dell'inizio e le perle del finale, senza il peso di dover essere a tutti i costi il migliore. Quello lo era stato anni prima, quando trascinò a suon di reti anche la nazionale spagnola, mettendo k.o. Germania e Italia nelle finali Europee del 2008 e 2012 e propiziando il gol di Iniesta nella finalissima di Johannesburg, che significò il primo titolo mondiale della Spagna. Come disse qualcuno, l'età d'oro della Spagna iniziò proprio da quella sera di Vienna di undici anni fa, quando il suo gol spalancò alla Roja le porte dell'Olimpo.