Politica estera: le partite che l'Italia non può perdere

Dalla Libia all'Iran, passando le opportunità offerte dal continente africano, fino al Venezuela e ai rapporti con la Cina nell'era dei dazi. Sono questi alcuni dei dossier caldi che transitano sulle scrivanie della Farnesina. Il quadro delle relazioni internazionali, negli ultimi anni, è mutato velocemente e l'Italia cerca la sua collocazione.

Relazioni fondamentali

In un sistema fortemente condizionato dalle politiche interne, com'è quello nostrano, gli affari esteri rischiano sempre di restare in sordina. Non spostano voti e, quindi, raramente assurgono agli onori delle cronache. Ma in un contesto globalizzato, qual è quello attuale, una maggiore attenzione, soprattutto mediatica, non guasterebbe. Perché intessere rapporti bilaterali significa, fra le altre cose, attrarre investimenti, sviluppare la rete del made in Italy in giro per il pianeta e assicurarsi un migliore approvvigionamento energetico. Ma anche garantire sicurezza sul proprio territorio. 

Libia

Prendiamo la Libia, ad esempio, che rappresenta il principale hub d'imbarco dei migranti diretti verso le nostre coste. L'accordo di Bengasi del 2008 (siglato dall'allora premier Silvio Berlusconi con l'ex dittatore Muhammar Gheddafi) aveva assicurato una sensibile riduzione del fenomeno. Ma la guerra civile del 2011 e la successiva destituzione e uccisione del “Colonnello” hanno trasformato il Paese nordafricano in una polveriera. Sfruttando l'instabilità venutasi a creare l'Isis e altre organizzazioni terroristiche ne hanno fatto una regione strategicamente fondamentale per lanciare l'attacco al cuore dell'Europa. E non è un caso che buona parte degli jihadisti protagonisti della lunga stagione di sangue che ha colpito il Vecchio Continente si siano messi in viaggio proprio dalla Libia. Nonostante la mediazione dell'Onu, che ha creato e riconosciuto un governo di unità nazionale guidato da Fayez Al Serraj con sede a Tripoli, oggi la situazione è tornata a ribollire, complice l'assalto alla capitale condotto dalle truppe del maresciallo Khalifa Haftar, ex generale gheddafiano diventato uomo forte della Cirenaica. L'Italia ha, negli anni, cercato di rincorrere le mire francesi in Libia, tentando di rispondere con al Conferenza di Palermo di fine 2018 al vertice di Parigi Macron-Haftar-Serraj del 2017. Che Haftar sia il cavallo su cui la Francia (ma anche dei più importanti Paesi arabi) ha puntato è noto, come lo è la posizione italiana ufficiale di sostegno a Serraj. In ballo, oltre alla questione dei migranti, c'è quella petrolifera e del gas, con Eni che deve difendersi dalle interferenze della transalpina Total.   

Africa

La Libia ci porta al Continente africano nella sua interezza, probabilmente una delle maggiori opportunità oggi esistenti. L'Africa “è in piena crescita economica, con una media del 5% e in grande espansione demografica, è ricco di risorse e bisognoso di investimenti. L’Africa è una grande opportunità per l’Italia e in Africa c’è grande richiesta di Italia” ha ricordato tempo fa il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, tirando le conclusioni della Conferenza Italia-Africa andata in scena alla Farnesina. “Il fatto che siano venuti tutti gli stati dimostra come il nostro Paese sia interessante come partner industriale, politico e di investimenti – aveva aggiunto – Dobbiamo entrare in un’ottica di dialogo paritario e lavorare per investimenti produttivi che migliorino le condizioni di vita e permettano alle popolazioni di trovare opportunità nel loro Paese e non essere costretti a partire, riducendo così i flussi migratori”. Nel 2016 l'Italia era il terzo investitore nel Continente più povero della Terra, alle spalle di Cina (38,4 miliardi) ed Emirati Arabi (14,9) miliardi. In prima fila, fra le aziende impegnate, c'è ancora una volta l'Eni

Iran 

Altro scenario da seguire con attenzione è quello iraniano. Le relazioni fra Roma e Teheran sono antiche, risalgono a tempi della Persia degli Scia, e sono sopravvissute alla rivoluzione di Khomeini di fine anni 70. Nell'ambito di un interscambio complessivo da 21 miliardi di euro nel 2017 (Eurostat) con i Paesi europei, l'Italia da sola, secondo la Camera di commercio e industria italo-iraniana, nello stesso anno è riuscita a sviluppare un giro d'affari da 5 miliardi, confermandosi principale partner commerciale della Repubblica islamica. Il valore dell'export, sempre nel 2017, ha raggiunto gli 1,7 miliardi, battuto solo da quello tedesco (quasi 4 miliardi). In Iran vendiamo soprattutto macchinari, prodotti chimici e farmaceutici. Il grosso dell'import è rappresentato dal petrolio (giro d'affari 3,4 miliardi due anni fa, con un incremento del 330% sul 2016). L'ostacolo in questo momento è rappresentato dagli Stati Uniti, che con Donald Trump non solo sono usciti dall'accordo sul nucleare del 2015, ma hanno anche imposto nuove sanzioni a Teheran aggiungendo un severo monito agli alleati Occidentali a interrompere ogni rapporto commerciale. L'Italia si trova, così, stretta dalla necessità di salvaguardare i propri interessi in Iran e, nel contempo, da quella di non urtare l'alleato americano, visto che la collocazione “atlantica” del nostro Paese resta uno dei capisaldi della politica estera

Cina

Simili difficoltà le incontriamo nelle relazioni con la Cina, che è l'altra grande superpotenza mondiale. Il braccio di ferro fra Washington e Pechino è sia commerciale che geopolitico; non solo dazi ma anche le questioni riguardanti le aree contese del Mar cinese Meridionale e lo status di Taiwan, che il Dragone considera una propria pertinenza. Il ministro Moavero lo scorso marzo ha sottolineato l'urgenza di recuperare il divario con gli altri Paesi europei nei rapporti con Pechino. La Cina, ha detto il titolare della Farnesina, “rappresenta un mercato estremamente importante e rispetto a questo noi abbiamo da recuperare un divario che altri Paesi europei hanno già coperto”. Lo scorso marzo, in occasione della visita a Roma del segretario del Pcc Xi Jinping, la firma del memorandum d'intesa (su cui non sono mancate le critiche e gli altolà della Casa Bianca) ha tracciato un percorso nelle dinamiche sino-italiane. Nel documento c'è l'impegno alla cooperazione sulla “Via della seta” per legami commerciali e relazioni politiche ma per promuovere la pace regionale. Il grosso del memorandum si concentra però su trasporti, logistica e infrastrutture, in particolare strade, ferrovie, ponti, aviazione civile, porti, energia e telecomunicazioni. La cooperazione si estende poi ai temi legati a commercio, ambiente e finanza. 

Venezuela 

Spostandoci nel continente americano, il principale dossier aperto è quello del Venezuela. Da mesi il Paesi si trova sull'orlo della guerra civile. Da una parte il regime di Nicolas Maduro – che ha esautorato il Parlamento sostituendolo con una propria Assemblea costituente -, dall'altra Juan Guaidò, che del Parlamento è il presidente e si è autoproclamato capo di Stato a interim, ottenendo subito il riconoscimento da parte degli Usa e di gran parte dei Paesi occidentali. In Italia la questione ha tenuto banco per giorni, svelando le differenti visioni sulla questione delle due principali forze di maggioranza. Da una parte la Lega, che ha spinto per il riconoscimento di Guaidò, dall'altra il Movimento 5 Stelle, contrario a questa eventualità. Moavero, nel suo intervento alle Camere, ha scelto una posizione mediana: richiesta di nuove elezioni, negando il riconoscimento di Guaidò e, nel contempo, affermando l'illegittimità dell'ultima vittoria elettorale di Maduro. In Venezuela la comunità italiana conta circa 200mila persone e l'evoluzione della crisi va seguita con estrema attenzione. 

Le altre partite

Questi i dossier principali ma non gli unici. Ci sono anche i rapporti con i Paesi del Golfo (recenti sono le visite del premier Conte negli Emirati Arabi Uniti e in Qatar) e con l'Egitto, complicati dal giallo legato all'omicidio di Giulio Regeni. Senza dimenticare le partite da giocare all'interno dell'Unione europea, nelle quali un ruolo chiave potrebbe avere proprio il ministro Moavero. Europeista convinto sarebbe nella lista di nomi da proporre a Bruxelles come membro della prossima Commissione Ue. Una scelta su cui, eccezionalmente, Lega e 5 Stelle potrebbero trovarsi d'accordo.