E’ l’azione non violenta di Gesù il modello per la pace in Ucraina

pace, simbolo della pace
Foto di Engin Akyurt da Pixabay

È in Gesù Cristo, che muore in croce con le braccia aperte sul mondo e perdonando i propri persecutori (cf Lc 23,24), che il progetto divino di un’umanità pacifica e non violenta si manifesta e si compie. Attraverso questo gesto sacerdotale, l’umanità è riconciliata con Dio, con l’Amore che redime, morendo e perdonando. È mediante il versamento del sangue di Gesù-uomo, nel quale la pienezza d’Amore si è compiaciuta di dimorare, che non solo l’umanità, ma tutte le cose in Lui ‒ come afferma san Paolo ‒, sono riconciliate (cf Col 1,20). Distruggendo in se stesso l’inimicizia, fonte di violenza, Gesù abbatte il muro delle divisioni, unifica i popoli in un destino di pace, affratella in un solo corpo quelli che erano nemici (cf Ef 2,16; Rom 12,5). Con il suo sacrificio, il Signore “ricrea” l’umanità, trasformandola da nemica, qual era divenuta in Adamo, in amica di Dio; mostra al mondo tutto l’impegno e la totale fedeltà del Padre al grande progetto di pace e di nonviolenza. Dio vuole il rinnovamento dell’umanità non mediante coercizione o azioni vendicatrici, ma con la forza di un Amore, che si dona fino all’estremo e perdona.

In Gesù Cristo, che sale spoglio sulla croce, Egli presenta al mondo la nuova umanità e contrasta la libertà deicida con le armi del perdono che risana e riconcilia. Nel Figlio, che si incarna e si immola, il Padre, ricco di misericordia, si impegna a far uscire ogni uomo dal tunnel dell’odio e della violenza, immettendo la sua stessa vita d’amore. La croce di Cristo è per il credente denuncia e vittoria sulla violenza, segno della solidarietà di Dio con l’uomo oppresso e sfregiato nella sua dignità. La croce non è propriamente apologia della sofferenza, del sacrificio e della morte. Abbracciandola, Gesù la trasforma in atto d’accusa della violenza del sistema religioso-politico del suo tempo, da cui è rifiutato e ingiustamente condannato. Per la risurrezione, che non è compenso e riparazione dell’apparente insuccesso della morte di Gesù, ma l’affermazione sfolgorante della potenza della vita divina, la croce indica ad ogni uomo la via che porta al trionfo sulla violenza e sull’odio. Con la crocifissione, Gesù assume su di sé anche la condizione di ogni persona ingiustamente condannata. Poiché Dio Padre si curva sul Figlio per accogliere il dono della sua vita e per eternarla nel dinamismo potente della risurrezione, la croce testimonia la solidarietà di Dio nei confronti di chiunque sia calpestato nei suoi diritti fondamentali. Quando il credente si immerge nella morte e risurrezione di Gesù Cristo, specie con il Battesimo e poi partecipando all’Eucaristia ‒ ove è celebrato il memoriale della passione del Figlio di Dio, che muore per redimere dal peccato e spezzare il circolo vizioso della violenza ‒, è reso partecipe della vitalità e della fecondità sanante e liberatrice dell’Amore-non violento.

Nello stesso tempo è chiamato ad essere uomo del perdono, ad amare i propri nemici e a pregare per i propri persecutori. Profondamente pacificato, attivo nel dono di sé, è invitato a impegnarsi a fianco degli oppressi e degli ultimi, non per annientare gli oppressori e gli sfruttatori, ma per scuoterne le coscienze e portarli a Cristo, il «Servo sofferente», perché siano guadagnati definitivamente all’amore, alla giustizia, alla pace. Gesù, nel suo incontro con l’umanità, ha guarito gli ammalati e i peccatori, ristabilendoli nella loro integrità e nella loro dignità. Non ha condannato il peccatore, ma con i suoi gesti e con le sue parole ha rivelato la violenza latente nei suoi interlocutori (i farisei, i sadducei, gli zeloti), riformulando sistematicamente le loro subdole domande e sollevando i veri problemi, per mettere i suoi detrattori di fronte alla loro coscienza. Ai suoi occhi la violenza nasce nel cuore e si esprime già nella parola. In vari momenti del suo magistero, a fronte della violenza e della guerra, papa Francesco propone l’esemplarità dell’azione non violenta di Gesù Cristo. Diventa, allora, importante fermarsi a considerare quanto ha detto e fatto il Signore Gesù. Ciò è fondamentale per il discernimento cristiano, specie sul piano evangelico, che deve trovare adeguata traduzione sul piano politico. Gesù Cristo «predicò instancabilmente l’amore incondizionato di Dio che accoglie e perdona e insegnò ai suoi discepoli ad amare i nemici (cf Mt 5,44) e a porgere l’altra guancia (cf Mt 5,39). Quando impedì a coloro che accusavano l’adultera di lapidarla (cf Gv 8,1-11) e quando, la notte prima di morire, disse a Pietro di rimettere la spada nel fodero (cf Mt 26,52), Gesù tracciò la via della nonviolenza, che ha percorso fino alla fine, fino alla croce, mediante la quale ha realizzato la pace e distrutto l’inimicizia (cf Ef 2,14-16)».

Poiché Gesù Cristo è indicato come modello e fonte di nonviolenza, in vista di una prassi cristiana, diventa necessario esplicitarne per i credenti le ragioni e le modalità. Egli rivela la nostra vocazione alla pace e, dunque, alla nonviolenza attiva e creativa. La sua morte in croce è denuncia della violenza e sollecitazione all’impegno nell’amore e nella giustizia. È fondazione di un’etica della nonviolenza, di un ethos contrassegnato, come appena accennato, dall’attività e dalla creatività.  Il Dio rivelato da Gesù Cristo non è un Dio violento, un Dio della guerra santa. Dire che Dio vuole la guerra e la violenza è bestemmiarlo. Ecco quanto papa Francesco scrive nel suo Messaggio per la celebrazione della giornata mondiale della pace (1 gennaio 2017): «Lo ribadisco con forza: “Nessuna religione è terrorista”. La violenza è una profanazione del nome di Dio. Non stanchiamoci mai di ripeterlo: “Mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa. Solo la pace è santa, non la guerra!”».  Il Dio dei cristiani è un Dio pacifico, che si fa vicino come colui che perdona, redime e umanizza divinizzando. Rivelando Dio, la sua misericordia, Gesù Cristo rivela all’uomo il suo destino: l’Amore trinitario, principio e fine dell’esistenza.

Visibilizzazione del Padre, presentandosi con i tratti del «Servo sofferente», il Signore Gesù viene ad assumere e a risignificare la storia dell’uomo. Ne vuole cambiare il corso senza l’appoggio degli eserciti. Mentre viene catturato, ordina a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?» (Mt 26,52-54). Con queste parole, Egli vuole interrompere la spirale di violenza che si sta abbattendo su di lui. Alla violenza risponde con la nonviolenza. È profondamente consapevole dei rapporti aggressivi, che determinano le strutture della realtà esistente: la violenza chiama violenza; chi pratica violenza subisce violenza e, facilmente, mette in atto altra violenza. La catena si interrompe solo rinunciando alla violenza. Ma ciò non implica subirla con passiva rassegnazione. Si rinuncia alla violenza non perché si è impotenti ‒ Gesù non è indifeso. Ha a sua disposizione un enorme potenziale di forza, contro il quale la violenza terrena non potrebbe che infrangersi ‒, ma vi rinuncia con la forza dell’Amore e del perdono, seppure umanamente “costosi”. Colui che, per amore di Dio e dell’uomo, smaschera le strutture di violenza non può sfuggire alla reazione che la violenza immancabilmente gli scatenerà contro. Preparandosi al terribile sacrificio, prima ancora di essere catturato Egli confida agli apostoli e alla folla: «È giunta l’ora che sia glorificato il figlio dell’uomo» (Gv 12, 23). «Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, glorifica il tuo nome» (Gv 12, 27-28).

Cosciente d’essere l’Uomo Nuovo, nel momento stesso in cui è attivo nel dono supremo di sé, e si prepara ad affrontare la morte, Gesù inaugura per ogni uomo un cammino di nonviolenza e di pace. In Gesù, che riconcilia l’umanità con Dio accettando di compierne la volontà, viene prefigurata un’esistenza di comunione con il Padre e con i fratelli: l’uomo è essere per la pace e la nonviolenza. Anche l’uomo, creato ad immagine somigliantissima di Dio e redento da Cristo, è chiamato ad essere profeta della pace e della nonviolenza, superando discriminazioni di ogni tipo, fra vicini e lontani, fra amici e nemici. La storia umana, in virtù del mistero della creazione e dell’incarnazione, trova inscritta in sé la vocazione all’unità, alla partecipazione della vita di Amore che incessantemente fluisce all’interno della Trinità, in una parola, alla pace. La nuova immagine di Dio, rivelata dal Signore Gesù, fonda ed esige fra le persone nuovi rapporti, contrassegnati dalla fraternità, dalla concordia e dal perdono, dalla verità e dalla giustizia, dalla solidarietà.