Cosa simboleggia il crollo del Muro di Berlino

Trentatrè anni orsono, nella notte tra il 9 e il 10 novembre del 1989, cadeva, o meglio, era abbattuto da migliaia di Berlinesi emozionati e festanti, davanti agli obiettivi di fotografi e cineoperatori che rinviavano le immagini in tutto il mondo, il “Muro” che aveva rappresentato per decenni il simbolo più noto ed emblematico della Germania divisa, del mondo bipolare e della Guerra fredda. Der Berliner Mauer era stato costruito a partire dall’agosto del 1961. Lungo più di 160 Km, alto quasi 4 metri con ben 290 torrette d’avvistamento, era sorvegliato da 14.000 guardie di frontiera. Ben 140 persone sono state uccise mentre tentavano di oltrepassarlo. Solo nel mese di aprile del 1989, su disposizione dell’ultimo capo di Stato della Germania Democratica, Erich Honecker, si era posto fine all’uso delle armi da fuoco per “impedire lo sfondamento del confine”.

Quali le cause lontane che spinsero alla sua costruzione e quali le ragioni che portarono alla sua caduta e, ancor più, quali furono gli sconvolgimenti che ne conseguirono, innanzi tutto, per la Germania e per gli assetti geopolitici mondiali in generale? Occorre risalire alla Conferenza di Potsdam di fine luglio-inizio agosto 1945, l’ultimo dei vertici tra le tre potenze alleate (Regno Unito, Stati Uniti e Unione Sovietica) che, dopo la resa della Germania, si accordarono sulla sua amministrazione, sui nuovi confini dell’Europa e sui risarcimenti di guerra.

La Germania fu divisa in quattro zone di occupazione affidate, nella parte occidentale agli Stati Uniti, alla Francia e al Regno Unito, mentre quella orientale fu affidata all’Unione Sovietica. Dopo avere per un lungo periodo subito l’urto della potente macchina bellica tedesca, con ben 20 milioni di vittime, il suo esercito, in un vittorioso contrattacco, era giunto fino al fiume Elba, occupando anche la capitale Berlino. I confini della Germania furono spostati sul fiume Oder-Neisse, con la perdita dei territori a Est a favore della Polonia e anche, nel piccolo territorio attorno a Kalingrad, la vecchia Könisberg di Immanuel Kant, a favore dell’Unione Sovietica, con il conseguente esodo di alcuni milioni di Tedeschi.

Anche Berlino, collocata interamente all’interno del territorio sotto occupazione sovietica, fu suddivisa in due zone, quella occidentale sotto controllo francese, inglese e americano e quella orientale sotto controllo sovietico. Da questo momento come l’immagine che rinvia uno specchio concavo, le vicende della vecchia capitale riassunsero quelle complessive della Germania e non solo, a partire dal cosiddetto Blocco terrestre dei rifornimenti alla parte occidentale, nel 1948, che gli Alleati superarono con un colossale ponte aereo.

Si era consumata la Grande Alleanza Antifascista ed era iniziata la Guerra fredda. Nell’autunno del 1949, accantonata la proposta staliniana di una Germania unita ma neutrale, nella parte occidentale, su iniziativa franco-anglo-americana, fu fondata la Repubblica Federale Tedesca, con capitale Bonn e, per reazione, su iniziativa sovietica, la Repubblica Democratica Tedesca (DDR nell’acronimo tedesco), con capitale Berlino Est. La prima, nel 1953, aderì alla NATO, mentre la seconda entrò a far parte del Patto di Varsavia, costituito nel 1955 tra i paesi del blocco sovietico.

Le due Germanie, progressivamente note al grande pubblico come Germania Occidentale e Germania Orientale, con un significato non solo geografico, erano divise da sistemi economico-sociali e politico-istituzionali differenti e anche da alleanze militari contrapposte e erano attraversate al loro interno dalla cosiddetta Cortina di ferro, che divideva l’Europa delle democrazie parlamentari e dell’economia di mercato da quella dei regimi comunisti. Questi preferivano definirsi di “democrazia popolare”, perché in diversi casi, come la DDR, sopravviveva formalmente il pluripartitismo, ma il potere era esercitato in forma esclusiva dalla SED, acronimo in tedesco del Partito socialista unificato di Germania.

La rivolta operaia del 1953 e, ancor più, l’esodo dalla Germania Orientale, verso la Germania Occidentale di due milioni di persone è un indice evidente del suo potere di attrazione per il diffuso benessere ma anche per le libertà individuali e collettive. Un’attrazione ancora più forte era esercitata da Berlino Ovest, che si configurava negli anni come una vera e propria “vetrina dell’Occidente”. Di contro, invece, erano indubbie le ristrettezze economiche e le restrizioni politico-culturali del rigido e occhiuto regime della Germania Orientale.

Il film Le vite degli altri, di Florian Henckel, ha rappresentato in forma straordinaria, come gli agenti della potente polizia politica, la Stasi, entrassero nella vita di ogni persona. Per il vero un altro film, che ha avuto grande successo non solo in Germania, Good Bye, Lenin, del 2003, di Wolfgang Becker, ha rappresentato, con intelligente ironia, i residui rimpianti per la DDR, tanto che nel vocabolario tedesco è stato inserito un emblematico neologismo, Ostalgie, dalla crasi tra Osten (Est) e Nostalgie.

Sulla base di questi precedenti non stupisce che, proprio nel quarantesimo della fondazione della DDR, nel 1989, lo scricchiolio che preannuncia il suo crollo è rappresentato proprio dalla ripresa massiccia delle fughe verso la Germania Federale: non più attraverso la frontiera diretta, ma aggirandola, passando dall’Ungheria, paese dove era possibile entrare e da lì in Austria.

Occorre, però, ricordare che la crisi finale della DDR si colloca in quella più generale dei paesi socialisti, avviata nel 1986, dal tentativo generoso di Michail  Gorbačëv di riformare, dopo la lunga stagnazione brezneviana, il comunismo sovietico, sulla base della Glasnot (trasparenza) e della Perestrojka (ristrutturazione) in senso democratico.

Il 7 novembre del 1989 un milione di manifestanti a Berlino Est chiede le dimissioni in blocco di tutto il governo della DDR. Due giorni dopo, il 9, decine di migliaia di Berlinesi affluiscono sotto il Muro; le guardie di frontiere aprono i varchi e durante la notte, dai due lati del muro si procede, senza alcun incidente alla sua distruzione: Berlinesi dell’Est e dell’Ovest finalmente riuniti nell’impresa liberatoria che anticipa e prefigura la riunificazione imminente delle due Germanie. La caduta del Muro di Berlino è anche il simbolo e il preannuncio del crollo dei paesi del Socialismo reale, compresa, nel 1991, l’Unione Sovietica.

Un simbolo benaugurante, perché la connotazione pacifica della caduta del Muro e della successiva riunificazione della Germania riguardò anche la fine di tutti i regimi comunisti europei, con la tragica eccezione della Romania di  Nicolae Ceauşescu.

È anche un’indubbia data periodizzante della storia contemporanea. Il più grande storico del Novecento, Eric Hobsbwam, nella sua notissima sintesi, The Age of Extemes, ha proposto come sottotitolo, The Short Century. Secolo breve perché, nelle sue dinamiche di fondo, inizia con la Prima guerra mondiale e si conclude, appunto, nel 1989, con la caduta del Muro di Berlino.

Il politologo nippo-americano ha scritto addirittura di “fine della storia” a proposito del 1989, rinvenendo nella cesura di quell’evento, il passaggio a un mondo unipolare, a esclusiva egemonia americana, finalmente unificato e pacificato. Un non disinteressato desiderio dell’establishment statunitense, più che una fondata previsione storica; nei decenni successivi il concreto svolgimento dei processi storici ha dimostrato che dal mondo bipolare si è rapidamente passati a un mondo multipolare, non certo pacificato, con la presenza, oltre alla superpotenza americana, di quella nuova della Cina e anche, quantomeno sul piano militare ed energetico, della Russia di Vladimir Putin. In aggiunta tante potenze regionali: la Germania in Europa, l’India in Asia, il Brasile in America Latina, il Sudafrica in Africa. In aggiunta ancora, le inquiete e ambiziose potenze militari, come la Turchia e l’Iran.

Indubbiamente, tuttavia, con la caduta del Muro di Berlino si avvia il processo dell’allargamento dell’Unione Europea ai paesi dell’Europa Orientale dopo difficili transizioni alla democrazia. Sono, tuttavia, largamente inevasi gli impegni sottoscritti, nell’agosto del 1975, da tutti gli Stati europei nell’Atto finale della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, tra i quali l’inviolabilità delle frontiere, la risoluzione pacifica delle controversie, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Ancora più irrealizzato appare, soprattutto durante la sciagurata guerra ucraina in corso, il sogno di Papa Karol Wojtyła dell’Europa che finalmente può respirare con i suoi due polmoni.