Roberta Bruzzone: “Io, il crimine e la Tv”

Considero questa professione, per certi versi, una vera e propria missione che lascia solo briciole alla vita 'fuori dal campo di battaglia'. Anche perché il mio lavoro di certo non facilita lo sviluppo di fiducia nei confronti del genere umano…”. Roberta Bruzzone il male lo conosce bene. Nella sua attività di criminologa investigativa e psicologa forense si è occupata di casi complessi, spinosi. Due su tutti: la strage di Erba e il delitto di AvetranaStorie nere, come il colore che la vediamo spesso indossare nelle ospitate televisive o che ha scelto per lo sfondo del suo sito personale. Ma quale vocazione porta a scegliere un mestiere che ti fa entrare nei meandri più oscuri della psiche umana? Come si affrontano tensioni e scene raccapriccianti? Lo ha raccontato a In Terris.  

Come ha scoperto la passione per la psicologia? C'è sempre stata o si è trattato di un incontro casuale?
“La scelta è avvenuta in maniera molto naturale perché rappresentava la sintesi perfetta dei miei interessi sin da bambina. Ero infatti attratta da eventi e situazioni che meritavano un spiegazione e quindi ero molto curiosa e determinata soprattutto quando si trattava di fare luce su situazioni poco chiare o, addirittura, misteriose. Ho semplicemente assecondato una predisposizione naturale in me e, un passo dopo l'altro, ho compreso che la psicologia, la criminologia e le scienze forensi sarebbero diventati i pilastri della mia vita professionale. Lo studio e l'impegno hanno fatto il resto. Del resto l'unico modo di raggiungere un obiettivo nella vita è avercelo chiaro”.

Serie tv come 'Lie to me' stanno portando alla ribalta il ruolo dello psicologo e del criminologo in ambito giudiziario. Le capita mai di confrontarsi con la pretesa di risposte immediate, frutto di una certa cultura massmediatica? 
“Si, purtroppo molto spesso c'è un'aspettativa quasi 'magica' di avere risposte o soluzioni rapidissime ma questo genere di lavoro, soprattutto quello che riguarda l'analisi della scena del crimine e dei vari reperti impone tempi che certo non hanno nulla a che fare con quelli mostrati nelle serie televisive di grande successo. Occorrono tempo, occorre calma e precisione. Per far bene questo lavoro, vista la posta in gioco, serve pazienza, da parte dei committenti e dell'opinione pubblica”. 

Lei deve spesso confrontarsi con delitti efferati, frutto di menti deliranti. Riesce sempre a mantenere un certo distacco professionale o qualcosa, in termini di emozioni negative, finisce per portarselo a casa?
“Non ci si abitua mai a confrontarsi con il peggio del peggio che gli esseri umani sono in grado di fare ai loro simili, per questo occorre attrezzarsi emotivamente per evitare di essere fagocitati da tali atrocità. E' molto difficile staccare la spina fino in fondo rispetto ai vari casi di cui mi occupo. Dopo ormai 20 di attività ho però imparato a convivere con questo genere di complessità”

Da tempo frequenta i più importanti talk show televisivi. Come si raccontano le dinamiche complesse di cui si occupa al grande pubblico? 
“Bisogna farlo con onestà intellettuale e rappresentare tutte le informazioni disponibili. Purtroppo non tutti i talk show dedicati ai fatti di cronaca nera sono all'altezza di un compito così delicato e complesso. E i risultati si vedono, anche in termini di ascolti. Il pubblico vuole interlocutori credibili e affidabili, altrimenti cambia canale”. 

Lei ha partecipato, in qualità di consulente tecnico di parte, al processo sul delitto di Avetrana. Si è trattato di un caso di cronaca nera che ha fatto emergere in modo prepotente il lato oscuro di una parte della provincia italiana, fatto di maldicenze, invidie, gelosie e lancinanti divisioni familiari. Che clima c'era in aula?
“Le indagini, prima, e il processo, poi, sono stati durissimi, senza esclusione di colpi come si suol dire in questi casi. Omertà e menzogne di ogni genere l'hanno fatta da padrone e ci hanno reso la vita davvero difficile ma non ci hanno impedito di ottenere verità e giustizia per la piccola Sarah (Scazzi ndr)”.

Il racconto mediatico di quella vicenda è stato oggetto di critiche e di severi interventi da parte di Agcom e Ordine dei giornalisti. Ora che conosce bene il mondo della televisione si sarà fatta un'idea se siano stati commessi errori o meno…
“Non è a me che deve fare questa domanda. Io ho fatto il mio lavoro e piuttosto bene direi…viste le condanne”. 

Una criminologa come arriva a “Ballando con le stelle” e, soprattutto, cosa fa?
“Mi proposero di partecipare come concorrente ma rifiutai per tutta una serie di ragioni. Poi Milly Carlucci mi propose il ruolo di profiler per valutare la performance dei vari concorrenti, come si rapportavano alla gara e come gestivano lo stress che il programma genera a profusione. 'Ballando' è un programma costruito per 'svelare' gli aspetti più interessanti e controversi della personalità dei vari concorrenti, quindi la cosa mi ha subito catturato ragion per cui ho accettato l'offerta. Ed eccomi qui alla terza mia edizione che è stata premiata da ascolti stellari”.

Si tratta di un'esperienza che, in un certo senso, alleggerisce il carico di tensioni proprie del suo lavoro?
“E' la mia boccata di ossigeno. Un po' di sano divertimento non guasta nemmeno per una criminologa dalla scorza dura come me”.