Libero scambio con Canada e Messico: Trump non ritira gli Usa dal Nafta

Il presidente americano, Donald Trump, ha deciso “di no ritirarsi in questo momento” dal Nafta, il trattato di libero scambio con Canada e Messico entrato in vigore nel 1994. Ad annunciarlo è stato un portavoce della Casa Bianca che ha anche riferito dei colloqui telefonici tra il presidente a stelle e strisce con il premier canadese, Justin Trudeau, e con il presidente messicano, Enrique Pena Nieto, conversazioni che sono state definite “molto produttive”.

La rinegoziazione del libero scambio

I tre leader hanno concordato sulla necessità di procedere “rapidamente ad un processo di rinegoziazione” dell’accordo a beneficio di tutti e tre i Paesi. In campagna elettorale, come pure nelle prime battute della nuova Amministrazione, Trump aveva più volte ventilato l’ipotesi di un’uscita dal North American Free Trade Agreement (Nafta). La marcia indietro, è arrivata dopo che molti analisti avevano avvertito l’ex tycoon che l’uscita dal trattato sarebbe un enorme disastro economico. Trump ha aggiunto di credere che “il risultato finale renderà i tre Paesi più forti e migliori”. Il governo messicano ha confermato l’avvenuta conversazione in un suo comunicato. “I leader – vi si afferma – ritengono conveniente mantenere l’intesa Nafta e lavorare con il Canada ad una sua rinegoziazione a beneficio di tutti”.

Una riforma storica

Nel frattempo, la Casa Bianca ha presentato quella che è stata definita una “delle più importanti riforme fiscali della storia“. L’annuncio è stato dato nel corso di una conferenza stampa dal segretario al Tesoro, Steve Mnuchin, e da Gary Cohn, consigliere economico del presidente americano, Donald Trump. L’intervento abbassa dal 35% al 15% l’imposizione sulle imprese e riduce da 7 a 3 gli scaglioni di imposta per i contribuenti, con una aliquota massima del 35%. Inoltre, permette alle imprese di rimpatriare la liquidità detenuta all’estero pagando una sola volta l’imposta sull’operazione. La riforma dovrà essere ora sottoposta al voto del Congresso dove rischia di non avere vita facile. A opporsi non saranno infatti soltanto i democratici, ma anche molti repubblicani che ne temono l’effetto espansivo sul deficit di bilancio.