Morgan Freeman: “Vi racconto la mia 'Story of God'”

Nel firmamento delle stelle di Hollywood, ce ne sono alcune che brillano con la stessa fulgida intensità malgrado l’incedere del tempo. Alla soglia degli ottantadue anni, la tempra artistica di Morgan Freeman non conosce flessione. Attore e regista, è stato candidato al premio Oscar per cinque volte e ha vinto la prestigiosa statuetta nel 2005 con Million Dollar Baby. Il suo è uno di quei volti del cinema che anche i non appassionati hanno presente. Cresciuto in una famiglia di neri del Tennessee, padre barbiere e madre donna delle pulizie, Freeman è l’icona di chi è affezionato all’idea di un’America meritocratica, che permette anche a chi viene dal basso, se armato di buona volontà e spirito di sacrificio, di ambire a diventare persona di successo. La scalata dell’attore verso il firmamento del cinema internazionale è iniziata in tenera età: il piccolo Morgan si fa notare durante le recite scolastiche, a dodici anni vince una competizione statale e prosegue studiando recitazione in un college. La carriera conosce però delle interruzioni, in gioventù abbandona il palcoscenico: fa il ballerino, l’impiegato, il meccanico della U.S. Air Force, prima di tornare a lucidare il suo più grande talento. A fine anni ‘60 prende parte ai primi film, ma è a partire dalla metà degli anni ‘80 che il grande pubblico inizia a famigliarizzare con questo longilineo e versatile attore colored e con la sua voce possente: indimenticabili ai cinefili Street Smart – Per le strade di New York (1987), A spasso con Daisy (1989), Robin Hood (1991), il western Gli spietati (1992), Le ali della libertà (1994), Seven (1995) Invictus (2005) e il già citato Million Dollar Baby (2004). Nel 2003 interpreta il Padreterno nel film Una settimana da Dio, che vede protagonista Jim Carrey. È in questa veste che Freeman riceve il Naacp Image Award per il miglior attore non protagonista. E ancora in Un’impresa da Dio, del 2007, Freeman torna ad indossare i panni dell’Onnipotente.

The story of God

Chissà se è anche questa esperienza che lo ha ispirato nel 2016 a condurre The story of God, documentario che lo vede girare il mondo con lo scopo di studiare varie culture e religioni, per cercare di capire i diversi modi di affrontare la trascendenza e cercando di dare risposte a certe domande anche dal punto di vista scientifico. Il programma viene trasmesso in prima visione assoluta negli Stati Uniti sul canale tv National Geographic Channel a partire dal 3 aprile 2016 e in Italia, sempre su National Geographic, dal 7 aprile 2016. Nella prima stagione vengono proiettate sei puntate sull’aldilà, l’Apocalisse, l’identità di Dio, la Creazione, il male, il potere dei miracoli. Il successo del programma sospinge anche una seconda edizione di tre puntate sull’eletto, il paradiso e l’inferno, la prova dell’esistenza di Dio. The story of God viene rinnovato anche per una terza stagione, in onda nel 2019. Quest’ultimo impegno l’ha portato anche in Italia: a Pompei, per studiare il rapporto con Dio della civiltà romana, a Perugia, nella chiesa di San Bevignate, dove c’è il più grande ciclo pittorico templare del mondo, e a Roma, culla della cristianità. È nella Città Eterna che Freeman ha intervistato il direttore di In Terris e sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII, don Aldo Buonaiuto, in qualità di esorcista, per preparare una puntata sul diavolo e sulla lotta contro il maligno. La puntata andrà in onda negli Stati Uniti martedì prossimo, 5 marzo, sempre su National Geographic Channel, ed è attesa nelle prossime settimane anche in Italia. In Terris lo ha incontrato per rivolgergli qualche domanda su questo suo lavoro televisivo.

Mister Freeman, com’è iniziata questa sua “ricerca di Dio”?
“Anni fa, quasi per caso, parlando con una donna cristiana che era intrigata dal fatto di poter imparare di più sulla sua religione. Così, per iniziare a rispondere a queste domande, siamo partiti. Del resto la maggior parte delle persone non conosce a fondo il Cristianesimo, l'Islam, l'Induismo e tutte le svariate religioni, quindi noi cerchiamo di mostrare al pubblico un’attenta analisi delle fondamentali differenze”.

In un’epoca di secolarizzazione, il rapporto tra gli americani e la fede religiosa è cambiato in qualche modo negli ultimi anni?
“Ci sono moltissime culture diverse da una parte all’altra degli Stati Uniti e quindi molte religioni che logicamente frammentano le varie popolazioni. Ma ciò non significa che abbiamo smesso di credere”.

C’è fede nello star system di Hoollywod?
“Oh, certo che c’è!”.

E com’è vivere la fede in un ambiente mondano, patinato come quello di Hollywood?
“Beh, io sono credente. Credo che non importi di che mondo fai parte: se hai fede, hai fede punto e basta”.

In questi giorni è in Italia. Ha trovato differenze nel modo di vivere la fede tra il nostro Paese e gli Stati Uniti?
“No, assolutamente. Semplicemente molti americani non sono cattolici mentre gli italiani sì, ma se si analizza bene questo rapporto, non c'è un sostanziale divario”.