In Myanmar una “cattedrale” nella foresta: la Chiesa in fuga dalle violenze

In Myanmar la comunità di Loikaw in fuga dalle violenze della guerra civile si ritrova in una cappellina di bambù costruita tra i sentieri dello stato di Kayah

Un villaggio birmano. Immagine di repertorio. Foto di Ajay Karpur su Unsplash

In Myanmar la giunta militare salita al potere con un colpo di stato nel febbraio del 2021 sta portando avanti una politica persecutoria verso le minoranze, compresa la comunità cristiana del Paese. La cattedrale di Cristo Re a Loikaw, la prima colpita, è stata occupata dall’esercito birmano che ne ha fatto un campo base, mentre nel paese infuria la guerra civile con le milizie etniche armate. Il vescovo di Loikaw, Celso Ba Shwe, è stato scacciato e ora presiede una una chiesa nella foresta.

In Myanmar una “cattedrale” nella foresta: Chiesa in fuga dalle violenze

«L’importante è preservare la fede, i sacramenti, la carità, la comunità». Quando tutto sembrava perduto, Celso Ba Shwe, vescovo di Loikaw, nel Myanmar orientale, scacciato dalla sua cattedrale, non si è scoraggiato. Ha affidato la sua condizione di profugo alla Provvidenza di Dio. La cattedrale di Cristo Re, prima colpita, è stata occupata dall’esercito birmano che ne ha fatto un campo base, mentre nel paese infuria la guerra civile. Con dolore e immensa tristezza, il vescovo e i sacerdoti residenti hanno dovuto abbandonare la chiesa e il centro pastorale. Ba Shwe ha iniziato «un tempo di itineranza forzata», come lo definisce. Da qui un’intuizione: costruire nella foresta, in una porzione di territorio dove sono accampate tante famiglie, una cappellina in bambù, denominata la nuova piccola cattedrale di Cristo Re, segno visibile di una comunità che, nella tribolazione, si ritrova attorno a Cristo. È il luogo dove si celebra l’Eucarestia e si custodisce il Santissimo Sacramento. Lì la comunità si raduna a pregare. Lì il vescovo ha celebrato anche il Natale. Da lì si irradia una carità che si fa consolazione, conforto per gli sfollati, aiuto umanitario.

Foto: L’Osservatore Romano

La testimonianza del vescovo Ba Shwe

Racconta monsignor Ba Shwe a «L’Osservatore Romano»: «Condivido la sorte dei miei fedeli. Vivo nella precarietà assoluta, nel dono che ricevo ogni giorno dai fratelli, dai preti e dalla gente che incontro. È un’esperienza di profonda fiducia in Dio che provvede e si prende cura di me e di tutti noi. Non la dimenticherò mai». Per lui «si tratta di un tempo speciale di vicinanza a Dio e di amore al prossimo», dice, nel ritrovarsi povero tra i poveri.

Mentre l’esercito regolare affronta le Forze di difesa popolare, nate all’indomani del colpo di stato del febbraio 2021 e oggi saldatesi con le milizie etniche, il conflitto ha avuto un impatto devastante sulla popolazione civile, con 2,5 milioni di sfollati interni, persone costrette ad abbandonare città e villaggi a causa degli scontri, per cercare salvezza. Ma, laddove è il “gregge” dei battezzati, lì ci sono i pastori. Dove ci sono i fedeli, lì vanno i sacerdoti a dispensare aiuto. Hanno lasciato le parrocchie, ormai deserte, e sono andati a vivere anch’essi con gli sfollati, in tende o casupole improvvisate.

In un territorio (lo Stato Kayah) dove i combattimenti proseguono, preti, religiosi e catechisti viaggiano nelle varie zone della diocesi, visitando i campi profughi e le famiglie provate dalla guerra e dall’indigenza. Percorrono sentieri spesso difficili e attraversano aree pericolose, interessate dal confronto armato. Ma sono consapevoli che la gente ha bisogno della loro presenza e del loro incoraggiamento, in tempi difficili di paura e incertezza. I preti celebrano la messa domenicale all’aperto, in semplici cappelle di legno o in baracche. Con loro, gli operatori pastorali e della Caritas rischiano perché, nel portare aiuti umanitari agli sfollati, possono essere accusati dai militari di sostenere la resistenza e quindi arrestati.

La chiesa cristiana di Loikaw

La Chiesa di Loikaw fin dall’inizio del conflitto civile, dopo il colpo di stato del febbraio 2021, si è impegnata in opere umanitarie: ha organizzato cliniche mobili, piani di aiuto d’emergenza e programmi educativi per bambini, adolescenti e giovani che, da ormai tre anni, non frequentano la scuola regolarmente. Il tutto sempre con l’obiettivo di «stare accanto alla gente».

«Vedendo le chiese che si sono svuotate, ci si potrebbe chiedere se la diocesi di Loikaw ancora esista», rileva il vescovo Ba Shwe. «Ho detto ai fedeli che una diocesi è una porzione del popolo di Dio affidata a un vescovo, con la cooperazione del presbiterio. Non è solo un’area geografica, è una comunità che vive per la proclamazione del Vangelo e la celebrazione dell’Eucarestia», aggiunge. Pur nella sofferenza e nella precarietà, allora, «la Chiesa fondata da Cristo è viva e presente a Loikaw. Anche attraversando questo deserto — ricorda — sappiamo che Cristo, Buon Pastore, si prende cura del suo gregge, per cui ha dato la vita».

Da: L’Osservatore Romano