Bencini (Italian Climate Network): “Cosa aspettarci da Cop 28 a Dubai”

L’intervista di Interris.it a Jacopo Bencini, Policy Advisor Politiche europee e multilaterali sul clima, Unfccc contact point Italian Climate Network

effetti

Chi inquina paga, o almeno dovrebbe. Parafrasando un vecchio adagio, questa è la sostanza degli strumenti solidali di finanza climatica. Tra questi, il Fondo per la compensazione di perdite e danni deciso all’ultima Conferenza delle Parti sui cambiamenti climatici delle Nazioni unite, la Cop 27 che si è tenuta a Sharm el-Sheikh, in Egitto, nel novembre dello scorso anno. Infatti il cambiamento climatico ha molteplici effetti, dalla perdita di biodiversità alla scarsità di risorse, dai decessi e dalla devastazione causate dagli eventi estremi all’inasprimento delle diseguaglianze. Tutti questi effetti hanno a loro volta un impatto diverso tra il Nord e il Sud globale, i due blocchi definiti dal maggiore o minore grado di sviluppo socioeconomico. Ci sono luoghi a rischio di scomparsa definitiva, come lo Stato di Tuvalu, uno dei più piccoli e meno popolati del mondo, che per via dell’innalzamento degli oceani, potrebbe finire sott’acqua. Al riscaldamento globale contribuiscono le emissioni di gas climalteranti, di cui sono responsabili quei Paesi che per primi hanno spinto sull’acceleratore dello sviluppo industriale, mentre a subirne le conseguenze sono quelli il cui apporto è stato decisamente minore. Per questo, alla Cop egiziana dello scorso anno si è deciso di adottare il “Loss & Damage Fund” che i Paesi più sviluppati e ad alto reddito dovrebbero finanziare con 100 miliardi di dollari, risorse da destinare a quelli più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico, a cui si lavorerà ancora alla prossima conferenza, quella di Dubai, negli Emirati Arabi, che si terrà dal 30 novembre al 12 dicembre.

La campagna

L’importanza di questo strumento e l’urgenza della situazione sono al centro dalla campagna “#SottoiNostriOcchi” lanciata da Italian Climate Network, un’associazione ONLUS impegnata per il contrasto al cambiamento climatico e per assicurare all’Italia un futuro sostenibile. L’ong partecipa inoltre ai Negoziati sul Clima della Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) dal 2011, ed è stata riconosciuta ufficialmente come “observer” nel 2014. L’iniziativa consiste nel fatto chi vi aderisce, dagli influencer alle persone comuni, fa scomparire il proprio profilo dai social network per sensibilizzare sulla sparizione di territori, comunità e biodiversità causati dal climate change.

Per gentile concessione di Italia Climate Network

L’intervista

Interris.it ha parlato di finanza climatica e della campagna ambientalista con Jacopo Bencini, Policy Advisor Politiche europee e multilaterali sul clima, Unfccc contact point Italian Climate Network.

Quanto “costa” la crisi climatica e i suoi effetti sull’ambiente?

“Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature Communications a fine settembre, il cambiamento climatico sta oggi producendo danni per almeno 16 milioni di dollari all’ora, con 280 miliardi di dollari di danni registrati nel 2022 – quasi il triplo della cifra annuale promessa nel 2009 alla COP di Copenhagen. A quella conferenza alcuni Paesi ricchi si impegnarono a mobilitare ‘almeno’ 100 miliardi di dollari all’anno in finanza per il clima, ossia in trasferimenti ai Paesi più fragili e bisognosi di aiuto internazionale per affrontare, insieme, la crisi climatica. Questa cifra non è stata mai raggiunta, inoltre si è calcolato che il fabbisogno per una transizione ecologica ‘serena’ sia arrivato ad ammontare a trenta-quaranta volte tanto sul breve-medio periodo. Per questo all’Onu i Paesi stanno cercando di trovare un accordo su un nuovo obiettivo quantitativo pluriennale”.

Cos’è il fondo per le perdite e i danni?

“Ad oggi, dai documenti che abbiamo potuto visionare, si prevede che sarà un fondo multilaterale aperto a contributi da parte di governi, organizzazioni regionali di integrazione economica, attori del settore privato e della filantropia, organizzazioni non governative (ong), ma anche a future quote provenienti da nuovi mercati delle emissioni, secondo schemi di finanza innovativa ancora non esistenti. Dalle bozze di lavoro in nostro possesso risalta anche una proposta di dotarsi di un obiettivo quantitativo, 100 miliardi di dollari all’anno mobilitati dal 2024 al 2030 come base di partenza. Sia la decisione di COP27 che tutti i documenti fino ad ora emersi indicano come beneficiari ‘i Paesi in via di sviluppo che sono particolarmente vulnerabili agli effetti avversi dei cambiamenti climatici”.

A che punto siamo?

“In questi ultimi mesi un Comitato di transizione, composto da esperti a maggioranza dal Sud del mondo e sotto egida Onu, è stato incaricato di redigere le regole di funzionamento del fondo. Sembra emergere che saranno stilate delle liste con dei criteri, basandosi su studi scientifici e rilevazioni puntuali in merito a fragilità, esposizione, capacità di adattamento, impatto sull’economia locale dei fenomeni estremi. Ci sono poi ancora dei nodi da sciogliere che vedranno una composizione politica solo a COP 28, per citarne due: con quale dei criteri di solidarietà e se il fondo verrà gestito sotto le Nazioni Unite o sotto la Banca Mondiale. Quello che è certo è che non ci saranno cifre preimpostate: nessun Paese inquinatore, a partire dagli Stati Uniti, vuole infatti vedersi assegnate quote per responsabilità storica, come invece logica vorrebbe”.

Cosa si intende per danni e perdite?

“Le due categorie sono applicabili a mobili, immobili, vite umane e vite animali, nel complesso dell’interazione uomo-natura a livello locale. Si intende per danno tutto ciò che viene danneggiato, con possibilità, almeno teorica, di riparazione, di ripristino. Si parla invece di perdite quando il danno è irreparabile. Efficaci azioni di adattamento, come interventi in sicurezza edilizia, costruzione di barriere sulla costa, installazione e promozione di sistemi di allerta, fino alle rilocazioni di parti dell’abitato possono diminuire il rischio di subire perdite e danni, ma per mettere in campo queste azioni servono risorse”.

Quali sono i Paesi maggiormente responsabili per le emissioni e quali invece di meno?

“Cumulativamente, possiamo dire che dall’inizio dell’era industriale un quarto delle emissioni climalteranti sono state emesse dagli Stati Uniti d’America, un altro quarto dai Paesi europei, la restante metà dal resto del mondo. Oggi Cina ‘contribuisce’ per quasi il 30% delle emissioni annuali di CO2 e dagli anni Ottanta ne ha emessa così tanta, e con una crescita così rapida, che da quasi zero è arrivata a pesare per oltre il 15% delle emissioni globali su base storica dall’inizio del periodo di rilevazione. Gli oltre centocinquanta altri Paesi hanno contribuito complessivamente molto meno. I 55 Paesi dell’Unione Africana non hanno mai raggiunto, tutti insieme, il 10% delle emissioni globali. Sono vittime delle emissioni degli altri”.

Come mai?

“Ci sono sia questioni geografiche e climatiche, in termini di naturale maggiore esposizione a fenomeni estremi, che demografiche, quali l’iper-concentrazione di popolazione nelle grandi metropoli costiere e spesso in presenza di slum sovraffollati – pensiamo alla conformazione demografica post-coloniale di molti Paesi africani -, i servizi idrici e sanitari insufficienti, l’assenza di politiche di adattamento e prevenzione del rischio. A questo si aggiunge che la civiltà industriale, alla base delle emissioni climalteranti, si è sviluppata dove condizioni meteo-climatiche più favorevoli garantivano maggiore continuità operativa, lasciando invece indietro tutte le zone del mondo coloniali dalle quali si prelevavano materie prime. Oggi quei Paesi che non hanno conosciuto lo sviluppo industriale ne devono programmare uno nuovo, sostenibile, mentre le loro fragili economie basate su risorse limitate risentono dell’impatto delle emissioni del Nord globale. I piccoli Paesi insulari, non avendo contribuito alle emissioni, questo impatto lo subiscono solamente”.

Qual è il contributo dell’Italia all’abbattimento delle emissioni, alla transizione ecologica e alla finanza climatica?

“Il nostro Paese complessivamente è indietro. I nostri singoli obiettivi nazionali sono contenuti nel Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), in fase di revisione, e nel Piano nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), mai approvato. E’ stato lanciato il Fondo italiano per il clima, uno strumento finanziario per garantire 4,2 miliardi di euro in cinque anni ai Paesi con i quali l’Italia collabora in termini di cooperazione allo sviluppo, ma il Comitato interministeriale di indirizzo si è insediato per una prima riunione solo un anno e mezzo dopo l’inizio previsto delle attività, nel luglio 2023. Niente invece, per adesso, in termini di eventuali contributi italiani al nuovo fondo su perdite e danni”.

Qual è l’obiettivo della vostra campagna #SottoiNostriOcchi?

“Le emissioni climalteranti prodotte dal nostro modello economico sono all’origine di fenomeni estremi e dei disastri che stanno facendo letteralmente sparire sotto i nostri occhi intere comunità nel Pacifico e non solo. E’ ora di rimettere in condivisione parte della ricchezza creata mentre si lavora ad un modello di sviluppo diverso, verde e a emissioni zero. L’Italia fa parte del gruppo dei grandi inquinatori storici e porta quindi una responsabilità che potrebbe trasformarsi in partecipazione a strumenti di solidarietà internazionale. La nostra campagna punta quindi a generare curiosità, conoscenza e consapevolezza sul tema, visto che nessun altro ne parla”.

Quali saranno i temi centrali alla prossima Cop 28?

“La precedente conferenza doveva essere ‘di transizione’ e si è rivelata a suo modo storica, con l’adozione della decisione che crea questo fondo. A quella di Dubai gli Emirati Arabi punteranno sui temi che sanno maneggiare meglio, la finanza, la ricerca e sviluppo, mentre non ci sono particolari aspettative sui piani nazionali di riduzione delle emissioni, ‘in pausa’ per via del contesto energetico. Aspettiamoci però passi avanti extra-negoziali in termini di accordi, anche tra piccoli gruppi di Paesi ricchi, su nuovi contributi economici al Sud globale, nelle politiche di adattamento, nel sostegno finanziario ai più fragili, e sullo sviluppo e installazione di energie rinnovabili da parte di vari Paesi, magari con grandi accordi-quadro multilaterali, come accadde nel 2021 a Glasgow per gli accordi su metano e deforestazione. Attendiamo infine il lancio del fondo, speriamo da subito operativo, anche se restano ancora molti nodi da sciogliere. Probabilmente su questo tema, vista la debolezza politica di Ue e Usa, entrambi al voto nel 2024, ci sarà una prevalenza delle posizioni del ‘Sud globale’ raggruppati nel gruppo negoziale G77+Cina”.