11 settembre 2001: il racconto del sergente Francis Lavelle

Il sergente Francis Lavelle racconta ad Interris.it come ha vissuto gli attentati di ventidue anni fa alle torri gemelle

11 settembre
A destra Francis Lavelle. Foto di Documerica su Unsplash

L’11 settembre 2001 rappresenta uno spartiacque storico del nostro tempo. Tutti conservano un ricordo di quel giorno e in questi 22 anni abbiamo conosciuto le storie di molte delle 2.974 persone che quella mattina hanno perso la vita. Esistenze normalissime spezzate da un atto violento e crudele che ha ferito l’umanità intera. 

L’intervista

Nel giorno dell’anniversario dell’attacco alle torri gemelle, Interris.it ha intervistato Francis Lavelle, un poliziotto sergente del dipartimento dei trasporti di New York. Nelle ore seguenti all’attentato ha prestato servizio a Ground Zero e con lui abbiamo ripercorso lo strazio di quei momenti trascorsi tra le macerie e la polvere delle torri completamente disintegrate. 

Francis, che cosa ricordi di quella mattina dell’11 settembre?

“Era il mio giorno libero e mentre facevo colazione con mio padre guardavo il telegiornale. All’improvviso tutta la programmazione si è fermata e sono state trasmesse le immagini della prima torre colpita da un aereo. In quel preciso momento non sapevo che cosa stesse accadendo e come tante altre persone mi chiedevo come un aereo avesse potuto colpire l’edificio senza che la torre di controllo dello spazio aereo lo avesse notato. Quando però anche la seconda torre è stata colpita ho capito immediatamente che non si trattava di un errore umano, ma di un atto intenzionale. In quel preciso momento, ogni singolo poliziotto e vigile del fuoco è stato chiamato in servizio. Io mi recai al mio distretto nel Queens e da lì siamo stati trasportati con gli autobus a Manhattan e catapultati nel caos più totale. Quando siamo arrivati le torri erano già crollate e noi cercavamo di dare il nostro contributo, garantendo la sicurezza della zona e degli edifici circostanti a quelli colpiti. Nessuno però poteva sapere che cosa stavamo facendo perché le radio del dipartimento e i cellulari non funzionavano”.

Che cosa ricordi di quei momenti?

“Ho impresse nella memoria delle immagini che nessuno mai potrà cancellare. Ho visto con i miei occhi pezzi di rottami degli aerei, e parti di corpi di tanti innocenti. Sotto le macerie gli incendi continuavano a bruciare e il calore che ne derivava faceva sciogliere le suole delle nostre scarpe. L’aria era inquinata, ma il caldo rendeva impossibile lavorare con una maschera al viso. Inoltre, entrambi gli edifici erano composti da 110 piani e quando sono caduti la quantità di macerie che si sono accumulate era pari a circa 40-50 piani, quindi, noi ci trovavamo a scavare da quell’altezza. Sicuramente in quei giorni una delle cose più difficili è stata quella di ricevere telefonate da amici con cui non parlavo da anni, che mi chiedevano se potevo rintracciare i loro familiari e conoscenti che erano dispersi e che non avevano modo di contattare”.

Hai perso qualche collega durante l’attacco?

“No, ma dopo due mesi sono stato trasferito alla Task Force Traffico di Manhattan e lì un sergente era deceduto. In tutti questi anni però a causa delle polveri tossiche respirate, ho avuto numerosi amici che si sono ammalati e alcuni di loro sono venuti a mancare. Il pensiero che dopo l’attentato sono rimasto a lavorare lì per almeno due anni a volte mi tormenta e dentro la mia testa rimbomba sempre la domanda se tra vent’anni avrò qualche ripercussione. Per ora io sto bene e una volta all’anno mi sottopongo a dei controlli medici per essere sicuro di essere in buona salute”.

Come è cambiata la tua vita da poliziotto dopo l’11 settembre?

“Come ogni altro americano, tutto, a partire dalle piccole cose, è cambiato. Io guardo diversamente la società in cui viviamo, le persone che incontriamo e vivo in modo differente alcuni luoghi come l’aeroporto. Per molto tempo dopo gli attentati, in città si respirava il terrore e ogni qualvolta veniva lasciato un pacco o una valigia sul ciglio della strada, si pensava potesse essere una bomba. Quell’atmosfera di paura e di incertezza ha sicuramente reso più difficile il nostro servizio perché si lavorava con la convinzione che la minaccia potesse essere ovunque e in qualsiasi momento”.

Tra qualche anno che cosa racconterai a tuo figlio di quel giorno?

“Gli dirò che l’11 settembre 2001 c’è stato il peggior attacco terroristico di sempre e che ho visto con i miei occhi spezzarsi i sogni di molte persone. Nessuno di noi potrà mai dimenticare quel giorno e io stesso insegnerò al mio bambino di onorare per sempre la memoria di tutti gli innocenti che quel martedì mattina hanno perso la vita”.