10 anni dal naufragio di Lampedusa: la strage dell’indifferenza

Nulla di ciò che riguarda l’umanità mi è indifferente”, tramanda la tradizione letteraria latina. Sono trascorsi due millenni e mezzo ma la sollecitazione del commediografo Terenzio risuona quanto mai attuale nelle tragedie del Mediterraneo. Il “mare nostrum” si è tramutato nel più grande cimitero d’Europa, contraddicendo la sua vocazione di ponte tra i popoli che su di esso si affacciano e che specchiandosi nelle sue acque incrociano i loro destini. Oggi ricorre il triste decennale del naufragio in cui persero la vita 368 migranti nelle acque di Lampedusa. ”Sciagura disumana” l’ha definita papa Francesco facendo proprio il grido contro “l’indifferenza verso i fratelli” che provoca stragi. Nell’isola siciliana divenuta epicentro dei flussi migratori, Jorge Mario Bergoglio ha compiuto il primo viaggio del pontificato. Il canale di Sicilia è stata teatro della tragedia avvenuta esattamente dieci anni fa di fronte alla “Porta d’Europa” cioè al monumento in memoria dei migranti morti in mare che si staglia all’orizzonte nella parte più a sud di Lampedusa. Riecheggia l’esortazione papale a pregare, a risvegliare le coscienze sul grido d’aiuto che si leva lungo le rotte della speranza. Una “spina nel cuore che porta sofferenza”. Vite spezzate mentre inseguivano un po’ di serenità e di pace. “Cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte senza comprensione né accoglienza, né solidarietà”, avverte il Pontefice. Fratelli e sorelle innocenti che anelano all’Europa, ma che prima di arrivare nel continente, passano per le mani dei trafficanti. Ossia di coloro che sfruttano la povertà degli altri e ne fanno una fonte di guadagno.

Sulle orme del Magistero siamo chiamati ad anteporre il senso della responsabilità fraterna al disinteresse verso il prossimo e all’insensibilità per le sofferenze altrui. Il Mediterraneo, da cimitero, può trasformarsi in terra di mezzo, “spazio conviviale delle differenze”, come auspica la Cei. All’ultimo meeting di Rimini il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella ha raccontato che nello studio dell’appartamento dove vive al Quirinale ha collocato un disegno che raffigura un ragazzino, di quattordici anni, annegato, con centinaia di altre persone, nel Mediterraneo. “Recuperato il suo corpo si è visto che, nella fodera della giacca, aveva cucita la sua pagella: come fosse il suo passaporto, la dimostrazione che voleva venire in Europa per studiare”, ha sottolineato il Capo dello Stato. Le immagini di migranti tragicamente morti nel deserto o in mare feriscono sono una ferità alla civiltà. “Non è pensabile che nell’animo umano vi sia un tale cinismo che lasci indifferenti- evidenzia il presidente Mattarella-. Le nostre coscienze e le nostre responsabilità ne vengono interpellate. I numeri delle migrazioni e le percentuali di incremento o decremento non possono essere un paravento. Dietro numeri e percentuali vi sono singole persone umane, con la loro vita, le loro speranze, il loro futuro, che spesso vengono cancellati. Da noi il fenomeno è più evidente per gli arrivi dal mare, in altri Paesi dell’Unione è meno visibile ma è anche, talvolta, più ampio e consistente”.

La misericordia è condivisione. il sentimento di compassione per l’infelicità altrui, che spinge ad agire per alleviarla. Misericordioso è lo sguardo del papa figlio di migranti sull’umanità ferita del terzo millennio. Un appello innanzi tutto rivolto ai credenti. “Senza la misericordia la nostra teologia, il nostro diritto, la nostra pastorale corrono il rischio di franare nella meschinità burocratica o nell’ideologia”, scrive Francesco in una lettera alla diocesi di Buenos Aires. L’accoglienza è un’opera di misericordia nella morale cristiana e in senso più generico è un atto di bontà, di carità verso chi soffre.”Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia”, scrive Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi. Jorge Mario Bergoglio se n’è accorto quando, diventando vescovo, iniziò a lavorare con i poveri in Argentina. Per questo le sue attenzioni sono prima alle persone che non alle strutture preposte. Non categorie sociologiche, ma luoghi dove essere Chiesa e far vivere il messaggio evangelico. Se parla della donna è perché ha ascoltato realmente le donne di Plaza de Majo; se parla di periferie è perché la Settimana Santa, anche da vescovo, la celebrava nei barrios; se parla di migranti è perché ha dovuto accogliere peruviani, boliviani e paraguayani giunti a Buenos Aires e finiti nel vortice della spaventosa crisi argentina del 2003. Questa è la chiesa nel mondo contemporaneo della “Gaudium et Spes” che papa Francesco promuove.

Lo ha ribadito il cardinale Pietro Parolin a Padova in una conferenza nella Facoltà teologica del Triveneto in piena concordanza con il richiamo di Francesco a una teologia incarnata che metta i teologi a confronto con il mondo contemporaneo e con i suoi problemi quali le “nuove migrazioni” di fronte alle quali occorre “farsi portatori di istanze etiche capaci di trasformarsi in azioni politiche necessariamente condivise”. Del resto insegna il poeta Walt Whitman: “A te, Straniero, se passando mi incontri e desideri parlarmi, perché non dovresti farlo? E perché non dovrei farlo io?