Il dovere di un nuovo equilibrio tra uomo e ambiente

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Ricorre ogni anno il 3 marzo la Giornata Mondiale della Natura Selvatica, istituita dall’Onu nel 2013 a 50 anni dalla firma, da parte di 183 Stati, della Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione. Questa data rappresenta un’occasione importante per rilanciare l’attenzione alla tutela della biodiversità e di ogni forma di vita come patrimonio prezioso e insostituibile.

Il World Wildlife Day quest’anno per noi capita in un momento molto delicato, in cui una parte del mondo agricolo si è mobilitato contestando la politica agricola europea specialmente nelle sue parti volte a ridurre l’impatto delle produzioni sull’ambiente. Dopo l’apertura della Commissione europea ad ascoltare maggiormente le istanze degli agricoltori e dopo la disponibilità da parte dei governi nazionali, compreso quello italiano, ad apportare modifiche nelle manovre economiche con più agevolazioni rivolte al settore, l’Europarlamento questa settimana ha comunque dato il via libera alla cosiddetta Legge sul ripristino della natura, tra le più significative del Green Deal e una fra le più contestate da parte degli agricoltori mobilitati.

Il provvedimento, approvato con 329 voti favorevoli, 275 contrari e 24 astenuti, ha visto divisi diversi partiti, soprattutto popolari, nonostante fosse il compromesso giunto dopo un lungo negoziato teso a mettere in equilibrio le istanze ambientaliste con la loro sostenibilità economica e sociale. Tra gli obiettivi prefissati: ripristinare almeno il 20% delle zone terrestri e marine dell’Ue entro il 2030 e tutti gli ecosistemi entro il 2050, e creare un buono stato di salute di almeno il 30% degli habitat come foreste, laghi, fiumi, praterie, entro il 2030, che poi dovrà passare al 60% entro il 2040 e 90% entro il 2050.

Il ragionamento da cui parte il provvedimento non è affatto banale, anche perché in gioco ci sono la sicurezza alimentare e la protezione della biodiversità, eppure ci sono ombre nell’impianto normativo che inquietano non poco il mondo produttivo e del lavoro, destando peraltro dubbi sulla concreta efficacia di certe misure nel ridurre l’inquinamento e l’impatto delle attività umane sulla natura.

Il caso della pesca è esemplare: il ripristino della salute del mare dovrebbe passare, infatti, per un ampliamento delle aree protette e il divieto della pesca a strascico che di fatto colpirà duramente il settore, già messo in ginocchio negli ultimi anni dalla riduzione delle giornate di lavoro, dal caro carburante, dalla concorrenza sleale extra Ue, da specie aliene predatorie come il granchio blu. Il tutto senza intaccare minimamente altri fattori che determinano l’inquinamento dei mari ben più delle attività di pesca, come ad esempio alcune produzioni industriali o speculazioni sulle aree marine.

Ma è esemplare anche l’obiettivo di ripristino degli ecosistemi agricoli: si prevede, in caso di circostanze eccezionali, che gli obiettivi potranno essere sospesi qualora dovessero comportare una riduzione significativa della superficie coltivata tale da mettere a rischio la sicurezza alimentare. Ma i casi eccezionali, in agricoltura, sono poco rari e per essere affrontati richiedono solitamente metodi complessi e tempi molto lunghi. Questo vale sia che si tratti di problematiche economiche, come ad esempio quelle causate attualmente dal conflitto in Ucraina o dai rincari di seminativi e materie prime, che di fenomeni legati ad agenti patogeni o virus, come ad esempio per la xylella o l’influenza aviaria. Mentre produrre richiede sempre tempi lunghi e programmazione delle attività, per il rischio alimentare sono sufficienti, purtroppo, tempi assai più brevi e condizioni molto meno prevedibili.

Ecco perché non possiamo fare a meno di concertare misure ambientali e politiche produttive aprendo tavoli tematici di confronto. È quanto abbiamo ribadito anche dieci giorni fa ai Ministri Lollobrigida e Calderone ottenendo diverse importanti aperture in materia di lavoro dignitoso e lotta al caporalato. La stessa cosa deve avvenire per le misure volte a tutelare la natura. Perché la transizione ecologica, da ritenere necessaria e non rinviabile, non può essere calata dall’alto ma deve per forza essere governata, in quanto trasformazione epocale, con il ruolo fondamentale delle parti sociali e di tutto il mondo del lavoro. E questo è probabilmente l’errore principale fatto a livello europeo nei confronti del mondo agricolo: aver scritto normative e piani di azione senza il sufficiente coinvolgimento delle parti sociali, peraltro tradendo uno dei principi cardine delle politiche europee che invece prevedono sempre apposite fasi negoziali per la stesura di norme a tutela del bene comune e non di singoli interessi lobbistici.

Oggi per rendere omaggio alla tutela della natura non dobbiamo accusare tout-court la PAC, politica agricola comune, ma certamente andranno riformati alcuni suoi punti e riviste alcune scelte dei singoli Stati: pensiamo alla riduzione delle superfici produttive, all’obbligo di assicurare le macchine agricole non circolanti su strada, alla tassazione delle superfici a riposo, agli aumenti della tassazione sui redditi agrari per chi vive di agricoltura, oppure, in casa nostra, all’eliminazione dell’agevolazione IRPEF per i redditi domenicali e agrari, che poi il Governo ha reintrodotto con un giusto criterio di progressività. Così come l’abbandono degli agrofarmaci, che deve essere pianificato assieme al mondo della scienza, del lavoro, dei produttori, dei consumatori: la retromarcia europea sulla loro riduzione non può essere una misura definitiva.

Come Fai-Cisl non accettiamo la contrapposizione tra agricoltura e ambiente. Non può essere utopia un’agricoltura che sia virtuosa, capace di garantire cibo e sicurezza alimentare, di produrre ricchezza e redditi dignitosi per i lavoratori, nel rispetto dell’ambiente e delle regole della reciprocità commerciale internazionale: sono obiettivi da realizzare nell’interesse di tutta la collettività. E in questa direzione va anche la nostra richiesta di una legge nazionale contro il consumo di suolo. Mentre aumentano le superfici coperte e le cementificazioni selvagge, diminuiscono i frutteti, i seminativi, i vigneti, gli oliveti, tutte quelle aree verdi in grado di produrre cibo, catturare Co2, accogliere le piogge, quando invece dovremmo recuperare l’esistente, riciclare gli scarti, riconvertire le produzioni, rigenerare i tessuti urbani, valorizzando le professioni di oggi e di domani che contribuiscono concretamente alla tutela e salvaguardia del territorio, a partire dagli operai idraulico forestali e dagli addetti dei consorzi di bonifica.

È doveroso dunque praticare un nuovo equilibrio tra persona e ambiente. E chi esercita ruoli di rappresentanza nel sindacato, in particolare noi, sottoscrittori del Manifesto di Assisi, rappresentanti dei lavoratori agroalimentari, della pesca, dei consorzi di bonifica, della forestazione, non possiamo che prestare orecchio al messaggio di Papa Francesco, quando nell’enciclica Laudato Si’ sottolinea che i diversi soggetti politici ed economici, interessati a conservare l’attuale modello di produzione e consumo, tendono a “mascherare i problemi o nasconderne i sintomi, cercando solo di ridurre alcuni impatti negativi”. Serve invece una vera ecologia integrale ispirata al bene comune e alla giustizia climatica, ed è importante che anche questa ricorrenza sia da monito per tutti noi, per esercitare ogni giorno la legalità, il rispetto della persona, la cura dell’ambiente.