I britannici preferiscono un “hard brexit”

Meglio un divorzio brusco che un accordo troppo punitivo per la Gran Bretagna. Lo pensano i tre quarti della popolazione del Regno Unito, secondo un sondaggio appena realizzato da Sky Data per l’emittente televisiva di Rupert Murdoch. Alla domanda se una Brexit accordo sia preferibile a un cattivo accordo (come sostengono i brexiteers duri e puri, inclusi alcuni ministri euroscettici del governo conservatore di Theresa May), ben il 74% ha risposto sì; mentre solo il 26 considera comunque necessaria un’intesa, quale che sia, e giudica l’opzione “no deal” negativa in senso assoluto.

Sulla necessità d’accantonare fin d’ora una somma in bilancio per far fronte all’ipotesi di fallimento dei negoziati con l’Ue e a una hard Brexit sono riemerse divisioni nel governo Tory. Con le perplessità del cancelliere dello Scacchiere, Philip Hammond, titolare del Tesoro e sostenitore di una Brexit soft, messe in parte a tacere dalla premier May.

L’esecutivo britannico ha già stanziato quest’anno 250 milioni di sterline (278 milioni di euro) per prepararsi all’uscita e anche per far fronte a un’ipotetica “hard Brexit”. Secondo la premier conservatrice Theresa May, “i soldi saranno spesi dove serve”. In precedenza Hammond di fronte alla Commissione Tesoro dei Comuni aveva dato la disponibilità a fornire le adeguate risorse ai diversi ministeri sottolineando che sarebbe prematuro spendere i fondi ora con l’assunto che non ci sarà un accordo tra Gran Bretagna e Unione europea. Hammond, noto per la sua posizione soft nei rapporti con l’Ue, aveva però di fatto smentito un articolo del Timesin cui invece appariva la sua forte riluttanza a un intervento in caso di “hard Brexit”. Anche per lui infatti il governo è pronto ad ogni tipo di risultato dei negoziati.

Da parte sua l’Ue continua a far sapere che i progressi attualmente “non sono sufficienti” per passare alla fase due. “I negoziati richiedono tempo” e pensare di poterli constatare già ad ottobre era una previsione piuttosto “ottimistica” hanno spiegato fonti comunitarie. Lo scenario a cui si continua a lavorare nell’Unione è quello di un “buon compromesso“, per il quale esistono ancora tutti i presupposti.