Sulle orme di san Francesco

La festa di san Francesco segue di pochi giorni quella di Padre Pio, segnato profondamente dalla figura del “Poverello di Assisi”. Due religiosi, un sacerdote ed un diacono, dono alla Chiesa, segno e profezia di una costante e rinnovata offerta di misericordia, secondo la forma del santo Vangelo e dell’Eucarestia.

Innestati nel seme di Cristo, a Lui “somigliantissimi“, (così anche la tradizione orientale si riferisce ai santi), mostrano il volto del Cristo, “venuto per servire e non per essere servito” (Mc 10,35). Vivendo ed essendo in Cristo (Gal 2,20), servo (Fil 2,6-11) e diacono (Rm 15,89), comprendono che Egli chiede di essere accolto (Ap 3,15) e seguito sulla via della croce, e che ad essa si ascende da vinti e non da vincitori. L’incontro con Cristo è per entrambi l’esperienza di un Dio che effonde largamente la sua grazia, e che attraverso di essa, dilata i loro cuori, creandosi lo spazio nel quale poter riversare, per mezzo dello Spirito, il suo sovrabbondante amore (Rm 5,5). Dapprima c’è dunque l’amore, l’incontro con Cristo, l’ascolto della sua voce, cioè l’esperienza religiosa, che si riconosce nel cambiamento di condotta, nella conversione morale, che giunge silenziosa e discreta, quasi sorprendendo. Da qui il rinnovato conforto della ragione, l’assenso dell’intelletto e l’obbedienza del cuore.

Chi ama, infatti, intende conformarsi all’amato, ed il conoscere è un fatto che riguarda il simile con il simile, ovvero, secondo l’espressione cara al cardinal Newman, un “Cor ad cor loquitur”, “un cuore che parla ad un altro cuore”. Quest’amore percepito come gratuito e personale, sconfinato e prezioso, immeritato e presto divenuto imprescindibile, come fiume che scorrendo dalla sorgente crea da sé i suoi argini, determina nei due santi una condotta nuova. Per Francesco si tratterà di dare senso all’inquietudine degli anni giovanili, di scoprire l’egemonia di una Parola che gli fa amare l’Eucarestia e riconoscere il volto di Cristo nei sofferenti, negli ultimi, negli emarginati, esperienza in passato amara e ripugnante, e poi, in Cristo, con l’abbraccio al lebbroso, “dolcezza di anima e di corpo” (FF 110). In Padre Pio quest’amore matura verso l’assimilazione a Cristo, l’unione con Dio, e “spiega” l’orientamento del suo cuore sacerdotale all’offerta vittimale per i fratelli, l’accoglienza della stessa sofferenza di Cristo, come “luogo” di dialogo e reciproco dilettarsi nell’amore (Ep. I,335). Le amabili parole del Maestro: “Chi mi vuol servire, mi segua” (Gv 12,26), divengono per essi un itinerario nel quale rinnegare se stessi e accogliere ed amare la croce di Cristo, sotto la quale, insegnerà Padre Pio, “s’impara ad amare”, e dove, dirà Francesco, si accumulano tesori in cielo per sé e per i fratelli (cf. FF 4).

L’amore chiede assimilazione, dissolvimento dell’io e del tu nel noi, come suggerisce San Bonaventura, desidera habere rationes (Proem. In I Sent., q. 2,6), e quindi crescere nella conoscenza dell’amato. Così i due santi non chiedono consolazioni ma partecipazione alla vita di Cristo, perfino nel dolore, da essi vissuto mai per se stessi, ma sempre per completare nella loro carne ciò che manca ai patimenti del loro Signore (Col 1,24) e a favore del Suo corpo, la Chiesa. Per volontà divina ciò sarà visibile anche nelle loro spoglie mortali, attraverso il dono dei segni delle piaghe di Cristo, dalle quali siamo stati guariti (cf. 1 Pt 2,25). Come il mormorio del vento leggero (1 Re 19,12), suggeriva al profeta Elia la presenza di Dio sul Monte Oreb, ecco il silenzioso passaggio di Dio nei due oranti che contemplano il volto crocifisso del Figlio, uno sul Monte della Verna, l’altro nel coretto del convento di San Giovanni Rotondo. In Francesco a sigillare la sua sequela in santità di vita; in Padre Pio, per un tempo più che “giubilare” (50 anni), nel solco del XX secolo, quale segno di misericordia e di speranza, come luce che risplende nel buio nel quale è immersa l’umanità sfinita ed avvilita dal peso del peccato.

Le numerose folle, come pecore senza pastore (Mc 6,34) che sconvolgono le viscere di misericordia del Maestro, nel ministero da Lui affidato alla Chiesa, per mezzo dei suoi fedeli discepoli, risalgono verso le sorgenti della carità, Parola e Sacramenti. L’intuizione di Francesco, del grande perdono di Assisi, diviene in Padre Pio, opzione per gli “ultimi”, accoglienza e ristoro nel ministero del confessionale e nella diaconia del sollievo della sofferenza. Bere il calice di Gesù e ricevere il Suo battesimo (Mc 10,39-40), per Francesco e Padre Pio, ma anche per tutti i cristiani, significa seguirlo e servirlo (Gv 12,26) e così partecipare alla stessa passione redentrice di Gesù.