Il ritorno di Bin Laden

“La causa della Siria è la causa dell’intera Umma (termine arabo per ‘comunità’, ‘nazione’, ndr). Per fare in modo che i siriani resistano all’invasore, agli sciiti e all’aggressione internazionale, i musulmani – tutti i musulmani – devono stargli accanto, sostenerli e farli arrivare alla vittoria”. Parola di Hamzen Bin Laden, figlio di Osama e, da molti, ritenuto la possibile figura di leader in grado non solo di raccogliere le redini lasciate dal genitore nel 2011 ma, allo stesso tempo, di ricompattare il fondamentalismo islamico sotto la bandiera di Al Qaeda nel Medio Oriente. Un’aspettativa importante per lui (e inquietante per noi) che nel 2001, quando le Torri Gemelle di Manhattan venivano colpite dai boeing dirottati dai terroristi agli ordini dei Osama, era appena un ragazzo. Di Hamza si era parlato già da alcuni mesi quando, all’indomani della strage della Manchester Arena, molti analisti del Medio Oriente lo avevano indicato come il possibile nuovo numero uno del fondamentalismo qaedista. E da leader ha parlato (adeguandosi al nuovo mezzo di propaganda web) il 14 settembre scorso, appena 3 giorni dopo il 16esimo anniversario degli attentati di New York, invitando le fazioni musulmane all’unità sulla questione siriana (e non solo).

Il “nuovo” Bin Laden?

Non è forse un caso che, in contemporanea all’arretramento dell’Isis in Siria e Iraq, torni a emergere un personaggio dal nome altisonante, in qualche modo pronto a farsi carico dell’unificazione del popolo islamico nel nome di Al Qaeda a circa tre anni dall’inizio delle primavere arabe in Medio Oriente. Ora, trascorso un lustro dall’uccisione del padre e dal conseguente declino, quantomeno mediatico, del gruppo fondamentalista a vantaggio del sedicente Stato islamico, Hamza (ora 28enne) sembrerebbe davvero pronto a raccogliere il testimone di Osama e convogliare su di sé i carismi del leader supremo, incarnando appieno quel ruolo di “erede naturale” che il fondatore di Al Qaeda aveva orientato su di lui.

L’erede

Su chi effettivamente sia Hamza c’è ben poco di certo. I principali osservatori internazionali lo indicano come nato a Jeddah, in Arabia Saudia, nel 1989. Sulla sua ascesa ai vertici del gruppo terroristico fondato da suo padre si sa ancor meno se non che, proprio per il “titolo” di erede designato conferitogli da Osama, gli anni di oblio intercorsi fra i fatti di Manhattan e la strage di Manchester del 22 maggio scorso (dopo la quale è tornato a parlare, invitando a nuove offensive contro “ebrei” e “crociati”) siano probabilmente serviti a fare di lui quel capo da posizionare davanti ai riflettori internazionali, in un momento in cui le capitolazioni di Raqqa e Mosul potevano far pensare a un appannamento delle forze islamiste radicali.

I dubbi sul capo

D’altronde, a fronte di un triennio (2014-2017) nel quale si è perlopiù parlato di Daesh e delle stragi terroristiche del sedicente Stato islamico in Europa, Al Qaeda non ha cessato di esercitare il suo dominio a livello regionale, in particolare nel Sahel. Di sicuro il movimento qaedista, lasciando i riflettori ai miliziani Isis (e vivendo momenti complicati, come lo scioglimento dell’importante gruppo Ansar al-Sharia in Libia), in questo lasso di tempo, come rilevato da alcuni analisti, avrebbe puntato gli occhi sulle condizioni dei musulmani in Asia (in particolare in Birmania), riemergendo a livello internazionale nel momento più delicato per i jiahdisti e per le loro roccaforti, convogliando su Hamza i connotati della figura ideale per “risollevare” le sorti del popolo arabo. Sull’effettiva efficacia del figlio prediletto come leader supremo dell’islam radicale, però, gli esperti hanno finora avanzato più di qualche dubbio: la rilevanza del nome negli ambienti estremisti potrebbe infatti renderlo l’interprete ideale del ruolo di capo assoluto, compito che, stando a diversi analisti tra i quali Adrian Levy, giornalista del ‘The Guardian’, non sarebbe in grado di svolgere nel concreto. D’altronde, pare che nessuno (nemmeno lo stesso Osama) abbia mai dettato una linea di successione da seguire alla lettera dopo la morte del fondatore. E questo nonostante molte foto “d’epoca” ritraggano in diverse occasioni un giovanissimo Hamza al fianco di suo padre, visti alla stregua di un mentore con il suo successore.

Rinascita di Al Qaeda

Il nome del figlio prediletto di Bin Laden era stato inserito nella lista nera degli Stati Uniti già nel gennaio 2017 (pochi mesi prima dell’attentato alla Manchester Arena). Per il momento, i diversi messaggi arrivati ai media occidentali a nome di Hamza sono giunti in versione audioregistrata, con le immagini apparse online che non ritrarrebbero le sue fattezze attuali. Insomma, se davvero sia arrivata l’ora di un Bin Laden di raccogliere lo scettro qaedista al momento non è certo. Più probabile che, in un momento estremamente complesso per Daesh in Medio Oriente, il movimento sunnita abbia deciso di recuperare terreno, ventilando la possibilità di un’unificazione che, assieme a quello del popolo arabo, (ri)conferisca prestigio al nome di Al Qaeda.